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Paestum e la fortuna del dorico

Grandi mostre, 1986

Erano templi dedicati a un dio che sembrava consacrarli ancora con la sua presenza; ancora li adornava di bellezza. Quella che poteva esser vista come la loro rovina, nella sua pittoresca desolazione e armonia sublime, era più adatta alla natura divina di quanto non fossero stati i templi stessi, quando, intatti e dorati, si ergevano nella loro forza originaria
Mary Shelley 

Il mito di Paestum, fin dalla sua riscoperta di metà Settecento, ha alimentato anime diverse del vasto immaginario neoclassico, un ambiente storico e culturale complesso perché cosmopolita e percorso da idee e tendenze spesso contrastanti, proprie di paesi quali Italia, Inghilterra, Francia e Germania. Il breve filmato qui proposto (Grandi mostre, 1986), è stato estratto dal documentario della storica mostra del 1986, La fortuna di Paestum e la memoria moderna del dorico (1750-1830), un'esposizione dalla cornice spettacolare (Certosa di San Lorenzo, Padula), a cui è seguita la pubblicazione di due volumi dal titolo omonimo (curati da Joselita Raspi Serra e Giorgio Simoncini). L'esposizione faceva il punto sull'attualità della storiografia architettonica moderna, strettamente connessa alla riscoperta di Paestum, evidenziando la crisi dell'ordine classico frantumato negli eccessi del Barocco e la re-invenzione dell'ordine dorico di Paestum, attraverso una miriade di esperienze a volte contraddittorie, scaturite dalla rilettura soggettiva del valore dell'antico da parte di studiosi e artisti illuministi. E in più, la mostra ampliava lo sguardo sulla greca Poseidonia sistematizzando il contributo di pittori che nella seconda metà del Settecento iniziavano lì i paesaggi del sublime, anticipando le poetiche romantiche. Basti pensare che in soli quarant'anni dalla sua scoperta, vennero pubblicate sei monografie illustrate sul sito, a cui si aggiunse la produzione di un'impressionante quantità di schizzi, disegni, incisioni, dipinti e modelli. Intorno alle suggestive rovine, trovavano ispirazione le classicheggianti vedute di Hubert Robert, quelle scenografiche di Antonio Joli, le idilliache di Jacob Philipp Hackert, agli acquarelli preromantici di William Turner, fino alle anticlassiche e drammatiche incisioni di Giovanni Battista Piranesi che, con Vedute diverse dell'antica città di Paestum (1778), cambiava opinione sulla centralità dell'architettura antica romana. 

Vedutismo settecentesco, archeologia e ordine dorico, fanno di Paestum lo scenario di un ampio dibattito caratterizzato dalle interpretazioni ambivalenti del luogo 

La mostra del 1986, ebbe il merito di riallacciare la fredda teoria estetica neoclassica, al vissuto dell'esperienza fisica, al contatto corporeo con le antiche pietre e la natura circostante della Paestum greca che torna nei ricordi dei viaggiatori dell'epoca. Veloci appunti, discorsi teorici, poesie, corrispondenze, letteratura di viaggio, ed ecco allora le riflessioni di Mary Shelley, attribuite alla protagonista di un suo romanzo, uscito postumo (The heir of Mondolfo, 1877), tratte da quei taccuini compilati nel suo Gran Tour del 1818.

Mentre le città romane di Ercolano (1738) e Pompei (1748), avevano riposato per secoli sotto di un fitto strato di cenere e lapilli, Paestum con i suoi templi rimasti sempre lì, era solo stata nascosta da una natura prorompente e ultramillenaria

Studiosi e architetti visitarono il sito che negli scritti di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) era stato celebrato per la "nobile semplicità e quieta grandezza" del suo ordine dorico, espressione di ideali etici ed estetici che lo studioso tedesco rivisitava, reinterpretava e proiettava dall'antica Grecia, all'attualità neoclassica. Subito dopo il suo primo viaggio a  Paestum del 1758, Winckelmann pubblica acute osservazioni  sull'architettura greca dei suoi antichi templi di Hera (detto la Basilica), Atena e Nettuno. Le forme arcaiche e grezze dei tre edifici dorici, forti e solenni rispetto alle oramai usurate strutture classiche, incitarono un'esplorazione archeologica di rilievo scientifico ispirata della nuova visione storicista dell'illuminismo. Agli elaborati capitelli ionici e corinzi, la riscoperta del dorico oppone forme semplificate e chiare come gli elementi geometrici base che lo costituiscono, l'echino e l'abaco, il cerchio e il quadrato.

Le prime attenzioni verso la greca Poseidonia, arrivano dalla corte dei Borboni di Napoli, primi promotori delle campagne di scavo 

Nel 1740, l'architetto Ferdinando Sanfelice suggeriva di utilizzare le colonne doriche dei templi di Paestum a ornamento del Palazzo Reale di Capodimonte. Il riuso di monumenti antichi, fin dal Rinascimento aveva finalità pratiche ed economiche; fortunatamente la proposta declinò. Fu allora, intorno al 1746, che il conte Felice Gazzola, generale d’artiglieria dell’esercito di Carlo III e amante dell'arte, promosse una campagna di rilevamenti a Paestum, affidando l'incarico all'architetto Mario Gioffredo e al pittore Giovanni Battista Natali. Questi disegni - oggi perduti - riaccesero l'interesse del regno di Napoli che, per migliorare i collegamenti tra la capitale e le zone a sud verso la Calabria, avviava la costruzione della statale 18, strada che fiancheggiava i templi di Paestum. Carlo III apriva così un varco e di li a poco, iniziava il Grand Tour internazionale di giovani aristocratici provenienti da tutta Europa alla scoperta delle radici culturali della Magna Grecia. 
Fra questi, nel 1750, l’architetto francese Jacques-Germain Soufflot (1713-1780), accompagnava a Paestum il fratello di Madame de Pompadour, il marchese di Marigny, futuro Sovrintendente degli edifici reali. Sebbene la presenza di Soufflot nel sito sia stata breve, con i suoi studi in loco l'architetto afferma una Poseidonia inedita, un'immagine del dorico stile "primitifs", che rafforza e rinsalda il principio vitruviano del rapporto tra natura e architettura. Paestum diventava mito e archetipo dell'armonia della Grecia classica.

Solo un'architettura a imitazione della natura garantirà all'edificio l'inserimento armonioso nell'ambiente naturale, scriveva Vitruvio 

Ai rilievi sull'architettura romana dell'epoca, si aggiungono ora piante, sezioni e profili geometrici dei tre templi dorici di Paestum, studi eseguiti con criteri conoscitivi e scientifici conformi alla riscoperta della storia antica. A garantire l'ingresso di Paestum nell'immaginario dell’Europa neoclassica, saranno soprattutto gli architetti francesi, spinti a cercare nel passato ragioni etiche e formali di un'idea di rinnovamento e libertà che sarà parte dell'imminente Rivoluzione.


I significati simbolici attribuiti all'ordine dorico, faranno la fortuna di un monumento cardine della storia dell'architettura romana, il Pantheon. Raffaello lo aveva disegnato e Palladio analizzato minuziosamente nei Quattro libri sull'architettura (1570). Molti pittori neoclassici lo ritrassero e il teorico dell'architettura Francesco Milizia (1725–1798), lo additò come modello di bellezza sublime. Soufflot lo realizzò nel quartiere latino di Parigi (Sainte-Geneviève, 1756), un Panthéon, con pronao colonnato, pianta a croce greca, cupola su alto tamburo e ordine dorico nella cripta. Antonio Canova (1757–1822) edificò il suo Pantheon nel paese natio di Possagno (1819-30), e lì fu sepolto; anche il pronao canoviano su otto colonne doriche e fregio soprastante a triglifi e metope, precede l'edificio cilindrico coperto da cupola.

Su rigore, semplicità e armonia, il Neoclassicismo riformulerà anche l'ideale urbanistico delle moderne città europee, assecondando il rapporto fra architettura e natura 

Il concetto di utilità, comodità, solidità degli edifici ripreso da Vitruvio, unito a quello di semplificazione degli ordini, della sobrietà decorativa, della ricerca di proporzioni chiare e armoniche, troverà applicazione nelle esigenze della nascente città industriale. Lo stesso rigore del singolo edificio di architettura funebre, o celebrativa, verrà applicata alle nuove soluzioni urbanistiche, dove ancora una volta, la chiave del dorico, tocca i giardini all'inglese e la sistemazione urbana degli spazi. La colonna dorica infatti, viene emulata dalla forma dell'albero, elemento naturale che delimita e indica percorsi. 

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PARCO ARCHEOLOGICO DI PAESTUM E VELIA