Paestum e il Grand Tour

Una visita con Philippe Daverio

Paestum riemerge dall'oblio a metà del Settecento, grazie a studiosi, giovani e cosmopoliti, che spostano le mete del Grand Tour formativo verso il sud d'Italia. Rispetto alle allora recenti scoperte delle dissepolte città di Ercolano (1738) e Pompei (1748), la greca Poseidonia era sempre stata lì, sommersa da una rigogliosa natura ultramillenaria 

L'antica Paestum sorse 2500 anni fa circa (fine VII sec. a.C.), occupando la verde Piana del Sele della Magna Grecia. Dedicata al dio del mare Poseidone, l'allora Poseidonia venne fondata dai cittadini di Sibari (attuale Calabria), per farne un porto sul Tirreno utile al commercio con gli Etruschi. Nell'età della Grecia classica (V-IV sec. a.C.), la città visse il suo periodo di massimo splendore e ricchezza, forgiando allora il volto che sedusse i viaggiatori settecenteschi con le sue mura greche, l’ampia agorà e i suoi tre grandi templi. Poseidonia conservò questa fisionomia anche a seguito dell'invasione dei lucani (fine V sec. a.C.). 

Nel 273 a.C., Roma vi insedia una colonia di diritto latino e la città diventa Paestum. I rapporti tra pestani e romani sono sempre stretti e fidati, tanto che l'antica polis batte moneta propria e prosperava nell'economica, mentre assorbe il nuovo riassetto urbanistico romano, con opere pubbliche e strade di comunicazione interna 

Il tramonto di Paestum arrivò lento e graduale, causa prima le esondazioni del fiume Salso che la rese insalubre fino a creare paludi. Gli abitanti corsero ai ripari: innalzarono i livelli delle strade e le soglie delle case, canalizzarono l'acqua a quote maggiori, ma l'impaludamento della città e del porto, ridusse la vita alla sussistenza. Nel IX secolo, i pochi abitanti rimasti trovarono scampo dalla malaria e dalle incursioni saracene nel nuovo insediamento di Caput Aquae (attuale Capaccio).

Philippe Daverio introduce il sito di Paestum (Art'è, 1998), rievocando artisti, architetti e studiosi italiani e stranieri, attratti dalle antiche rovine che agli occhi di questi apparivano maestose nella compostezza dell'ordine dorico. La rilettura neoclassica del canone antico, con Paestum offre qualcosa di più rispetto alle coeve riscoperte di Ercolano e Pompei di origine romana. L'antica Paestum emanava la nuova luce del mito classico, di una Grecia più immaginata che realmente conosciuta, dalla quale artisti e studiosi recuperarono sia la geometria della composizione architettonica neoclassica, di bellezza solida ed essenziale, sia le atmosfere naturali e sublimi dei suo paesaggio che anticiparono il romanticismo.
Il maggior protagonista della rivalutazione di  Paestum, fu il padre della moderna archeologia Johann Joaquim Winckelmann (1717-1768) che, arrivato a Roma da Dresda (1755), per studiare l'antichità romane, nel 1758 vide per la prima volta il sito della Magna Grecia. 

Nel 1759, Winckelmann pubblicava le sue prime osservazioni sull'architettura (Osservazioni sull'architettura degli antichi), cogliendo l'importanza storico archeologica dell'ordine dorico, il più antico dei tre ordini architettonici, la cui "nobile semplicità" aveva forgiato l'immagine della Grecia classica di Pericle. 

Se la funzione dell'ordine, era quella di definire la struttura e la forma di un organismo secondo una serie di regole geometriche e matematiche che garantissero all’edificio proporzioni armoniche proprie e con l’insieme, Winckelmann forniva a proposito dettagli formali, tecnici e costruttivi molto acuti. L'eco di Winckelmann risuona nella trattatistica di fine Settecento di tutta Europa. Francesco Milizia (1725-1798), nei suoi scritti sull'architettura neoclassica, definisce le volute dell'ordine ionico "gentili", le foglie di acanto del corinzio "agili ed eleganti", mentre la geometria dell'ordine dorico, derivante dal cerchio e dal quadrato (i due elementi del capitello, rispettivamente echino ed abaco), rappresentava "maestà" e "robusta semplicità", valori accentuati anche dalla caratteristica colonna dorica, dal fusto scanalato e rastremato, privo di base e che poggia direttamente sulla piattaforma a gradini del tempio.
Nell'opera capolavoro di Winckelmann, Storia dell'arte nell'antichità (1764), lo studioso inaugura una visione fin'ora inedita, basata sulla storia oggettiva delle opere, non sul gusto o sulla moda, bensì sull'evoluzione degli stili a partire dal vertice raggiunto con la Grecia classica. La bellezza ideale e la giusta misura dell'arte greca, per Winckelmann sono espressione di libertà, un concetto fondante con il quale l'illuminismo gettava le basi per la nascita della nuova borghesia. Ed è proprio per questa saldatura tra etica ed estetica della Grecia classica, che le teorie di Winckelmann saranno accolte dalla Rivoluzione francese.