Sarfatti, la musa del Duce

Sorgente di vita, 2018

Per la rubrica culturale della comunità ebraica "Sorgente di vita", il filmato qui proposto, "La musa del Duce" (2018), introduce la figura di Margherita Sarfatti (1880-1961), critica e promotrice d'arte, in parte controversa, della vita culturale italiana tra le due guerre. 
In occasione di due mostre a lei dedicate (MART di Rovereto e Museo del Novecento di Milano), la troupe televisiva entra nel suo studio della casa romana, dove Ippolita Gaetani, figlia di Fiammetta, secondogenita della Sarfatti, presenta alcune opere della collezione della nonna, tra cui un Achille Funi ("Margherita Sarfatti e sua figlia Fiammetta”, 1930) e un prezioso ritratto della madre bambina dipinto da Umberto Boccioni ("Ritratto di Fiammetta Sarfatti", 1911). 
Incontrati nel 1909, quella tra il pittore e la critica d'arte fu un'amicizia profonda e a volte burrascosa, Al Ritratto di Fiammetta, risalente al periodo nel quale Boccioni era ospite nella residenza di campagna della Sarfatti a Cavallasca, si aggiungeva un'altra opera nella collezione: il suo ritratto dal titolo Antigrazioso (1912-'13), aggettivo qui usato per la prima volta dall'artista, a qualificare il personaggio emblema di una nuova identità femminile "futurista", energica ed intelligente, non sdolcinata e aggraziata, appunto.

Anna Maria Montaldo direttrice del Museo del Novecento di Milano, introduce il complesso personaggio della Sarfatti, conoscitrice di quattro lingue, prima donna ad affermarsi come critica d'arte in Europa e inoltre, biografa, amante e inizialmente anche musa ispiratrice di Mussolini 

Ultima di quattro figli, nata a Venezia nel 1880 da una ricca e nota famiglia di origini ebree, il padre di Margherita, Amedeo Grassini, era avvocato, amico del patriarca veneziano (Giuseppe Sarto, futuro papa Pio X) e grande imprenditore capace di fondare la prima società di vaporetti della città di cui era anche consigliere comunale. La madre, Emma Levi, era cugina di Giuseppe Levi, padre di Natalia Ginzburg.
Il prestigio dei Grassini crebbe ulteriormente quando lasciarono il Ghetto per trasferirsi nello storico palazzo Bembo, sul canal Grande (1894). 
Margherita, assai dotata, ha una solida formazione intellettuale, seguita da insegnanti valevoli in un ambiente gremito di letterati, tra cui Gabriele D'Annunzio e i Fogazzaro, dei quali, Antonio, la avvicinerà al cristianesimo. Tuttavia, anche dopo la conversione, vissuta come fatto adogmatico e liberale, Sarfatti rimane comunque vicina al suo credo dottrinale e culturale ebraico. 

Nel 1898, Margherita sposa l'avvocato Cesare Sarfatti, militante socialista, dal quale assume il cognome con cui firmerà tutte le sue opere future 

Nel 1902, trasferiti a Milano, ambiente di salotti culturali molto vivaci, Sarfatti inizia a scrivere sull'"Avanti! della domenica", e diventa responsabile della rubrica di critica d'arte.
Tra il 1902 e il '12, collabora con alcuni periodici di stampo socialista impegnati nell'emancipazione femminile. In questi anni, Sarfatti si immerge nella filosofie di Sorel e Bergson, convinta che l’arte, la letteratura e le iniziative filantropiche, di cui lei era grande promotrice, fossero momenti importantissimi per l'educazione del popolo.

Nel 1912, Margherita incontra Benito Mussolini, allora dirigente del Partito Socialista Italiano e in procinto di divenire direttore de "L'Avanti!"

Tra i due, nasce una relazione che si trasformerà in un ventennale sentimento profondo e intimo. Negli anni, Sarfatti si avvicina sempre più alle posizioni di Mussolini, diventa redattrice de "Il Popolo d'Italia" (1918), quotidiano fondato e diretto dal futuro dittatore e nel 1922, fondano assieme la rivista  di teoria politica "Gerarchia".
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1915, Sarfatti segue Mussolini sulla scelta interventista.
Il primogenito Roberto, partito volontario, morirà non ancora diciottenne sull'altopiano di Asiago, luogo che ricorda l'episodio con un monumento funebre di Giuseppe Terragni commissionato all'architetto da Margherita stessa.

Al numero 93 di Corso Venezia, la sua casa ospita uno dei salotti più in voga di Milano, luogo frequentato da intellettuali ed artisti, a partire da Marinetti e Boccioni, fautori dei primi echi di avanguardia trattati da Sarfatti nei suoi scritti

Danka Giacon, curatrice della mostra di Milano e qui intervistata, introduce la nascita del Gruppo Novecento, fondato dalla Sarfatti con il gallerista ebreo Lino Pesaro, il 7 dicembre del 1922, festa di Sant’Ambrogio protettore di Milano. 

L'intento di Novecento è di seppellire definitivamente il verbo provocatorio delle avanguardie e recuperare la componente figurativa in nome della tradizione classica 

Vi aderivano diversi artisti molto diversi tra loro, tutti uniti da quel richiamo diffuso di "ritorno all'ordine", già promosso dalla rivista "Valori Plastici", che toccherà l'arte di diversi paesi europei. Ecco solo alcuni nomi che, nel 1926, alla presenza di Mussolini, esporranno per la prima volta alla Galleria Pesaro di Milano: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Pietro Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi. 
Margherita conosceva Sironi fin dal 1916, quando acquistava Il ciclista (1916, olio su tela, 96x71cm.; Fondazione Peggy Guggenheim, Venezia), opera emblematica del periodo futurista. È opinione diffusa che la critica d'arte, sempre vicina e attenta alle sue opere, abbia da loro colto ispirazione ponendole come protocolli ed exempla di quello stile vagheggiato già prima della nascita di Novecento. Infatti, Sarfatti che non perdeva occasione per recensire il lavoro di Sironi, spesso nei suoi scritti sottolineava nei quadri dell'artista l’eliminazione "di tutto quanto è accidentale”, un'avvisaglia del concetto di "sintesi" su cui si fonderà Novecento

Un anno dopo la morte del marito, nel 1925, Margherita sottoscrive il "Manifesto degli intellettuali fascisti" allontanando per sempre alcuni artisti dal gruppo 

Con la vedovanza, Sarfatti inizia a stendere la biografia di Mussolini, rivista accuratamente dallo lui stesso; pubblicata nel 1925, in Inghilterra, "The Life of Benito Mussolini" uscirà un anno dopo in Italia con il titolo, "Dux". Il libro riscuote enorme successo di pubblico: verrà tradotto in diciotto lingue e venderà un milione e mezzo di copie solo nel nostro paese. 
Da allora, Sarfatti accompagna in modo sempre più scoperto l’affermazione di Mussolini e del partito: organizza eventi, cura scritti teorici e collabora al piano della marcia su Roma, assumendo anche incarichi istituzionali. 

Probabilmente, forte della stima di cui godeva già da tempo a livello internazionale per i suoi scritti, Sarfatti era convinta di poter guidare le scelte politiche e culturali del regime, sottovalutando il progressivo incremento del clima antisemita

L'incessante attività di mostre ed eventi dedicati a Novecento e ai suoi artisti più talentuosi, viene notata dalle "Corporazioni Sindacali delle Arti" del nuovo regime che non manca di attuare un allargamento dal basso facendo confluire nel gruppo artisti poco graditi a Sarfatti, che non reggono il confronto qualitativo con le istanze di "modernità". 

Nel 1929, Sarfatti si trasferiva a Roma, ma già in occasione di un'esposizione milanese, Mussolini iniziava a prendere le distanze dal tentativo della donna di trasformare Novecento nella vetrina dell'arte fascista per eccellenza

Nel 1932, Mussolini attua un improvviso voltafaccia: Sarfatti viene allontanata dal "Popolo d'Italia", approdando così alla Stampa di Torino.
A distanziare definitivamente la coppia, furono le leggi razziali del 1938. A nulla valse l'intimazione che lei rivolse al Duce: se si fosse alleato con Hitler e avesse adottato l'ideologia nazista, lei avrebbe sbandierato la sua pluridecennale collaborazione con un'ebrea. 
Margherita deve scappare, con il figlio Amedeo soggiorna prima a Parigi, dove frequenta Jean Cocteau, Colette e Alma Mahler. Infine, approda in Argentina, dato che il suo desiderio di essere accolta negli Stati Uniti non trova risposta. Temendo per l’incolumità della famiglia, dopo l'occupazione nazista di Roma, la donna utilizzò da lontano i pochi contatti che le erano rimasti per assicurarsi non venisse fatto loro alcun male. Fiammetta, già sposata e convertita al cristianesimo, rimane in Italia trovando "ospitalità" come infermiera in un ospedale, mentre i figli, vengono  nascosti dentro conventi e il marito Livio, rimane clandestino. La sorella maggiore di Margherita, Nella Errera, non ebbe altrettanta fortuna e nel 1944, con il marito Paolo, vennero arrestati dalle SS per finire ad Auschwitz.

Nel 1947, Margherita Sarfatti tornava in Italia, gli amici di un tempo la evitano, i nemici politici la disprezzano

Tutti volevano dimenticare. Per la famiglia diventò un imbarazzante fardello storico e la figura dell'esuberante donna uscì dai riflettori, insieme al ruolo centrale svolto durante il ventennio fascista italiano.
Nel 1955, Sarfatti da alle stampe una autobiografia dal titolo "Acqua Passata", dove il rapporto con Mussolini viene quasi ignorato. Resta invece inedito per lungo tempo, il primo manoscritto delle sue memorie titolate, "Mea culpa", pubblicato solo post mortem come: "My fault". Mussolini as I knew Him (Enigma Books, 2014). 
Negli ultimi anni di vita, Margherita si isola nella sua villa di Cavallasca, vicino Como, dove morirà nel 1961.

APPROFONDIMENTI 
Il segno delle donne. Margherita Sarfatti interpretata da Sonia Bergamasco

Il Tempo e la Storia. Margherita Sarfatti: la biografia del Duce

FOTO DI COPERTINA
Margherita Sarfatti nel suo studio