Alpi 2020: la quinta tappa

Val Malenco e alta Valtellina tra paesaggi selvaggi e ghiacciai in forte ritiro

14 luglio - Ghiacciaio del Fellaria
Dopo la missione dedicata alla parete est del Monte Rosa ci spostiamo in Lombardia, più precisamente in Val Malenco. Siamo ospiti del “B&Be Happy” di Camilla e del suo compagno e guida alpina Giovanni Ongaro, entrambi forti scalatori.
Le previsioni meteo sembrano buone e il giorno prima di Ferragosto ci spostiamo in Val Malenco. Lasciamo le auto presso la diga di Alpe Gera e raggiungiamo, in circa due ore di cammino, il ghiacciaio del Fellaria, a 2650 metri di quota, lungamente monitorato da Riccardo che su questi monti è di casa.
Abbiamo l’obiettivo di verificare l’emersione delle paline che controllano l'evoluzione del ghiacciaio e il corretto funzionamento delle fotocamere time-lapse del Servizio Glaciologico Lombardo che ne registrano le dinamiche. Tuttavia, arrivati davanti alla fronte, troviamo una brutta sorpresa: il treppiede con la fotocamera più vicina al ghiacciaio, nonostante la costruzione in solido acciaio (saldato dalle abili mani di Marco) e i grossi bulloni che lo fissano al suolo, è a terra, evidentemnte danneggiato. Riccardo non riesce a trattenere lo sconforto: le tante ore di lavoro spese fra la preparazione della struttura, il trasporto e l’installazione e soprattutto le preziose immagini che la fotocamera registra sembrano seriamente compromesse.
Per fortuna, dopo una rapida verifica, ci accorgiamo che la fotocamera non ha subito danni e la maggior parte delle immagini sono recuperabili. Solo successivamente abbiamo potuto verificare, grazie alle fotografie registrate da una seconda camera posizionata più in alto, cos’era successo: un crollo del ghiacciaio ha provocato un’onda nel lago glaciale che ha scagliato  grossi iceberg contro il treppiede, abbattendolo; un’ulteriore testimonianza dello stato di crisi della fronte di questo ghiacciaio, acuito dalla presenza di un grande lago proglaciale che ne accelera la disgregazione.
In ogni caso il time-lapse che otterremo al nostro rientro dall’elaborazione delle immagini recuperate ci regalerà una visione straordinaria della dinamica del ghiacciaio negli ultimi due mesi.

15 luglio – Sasso Moro
Oggi è stato un Ferragosto decisamente non abituale: ci siamo svegliati presto e dopo una ricca colazione al rifugio Bignami, dove abbiamo passato la notte, siamo partiti per raggiungere la vetta del Sasso Moro (m. 3108) da cui ripetere una fotografia di Alfredo Corti del ghiacciaio Fellaria per testimoniarne il drammatico ritiro.
Prima di partire ci ha raggiunto Roberto il “Popi”, collega di Riccardo e Marco nel Servizio Glaciologico Lombardo, per aiutarci nella missione del giorno. Roberto è un valtellinese simpatico e genuino e la sua compagnia ci rallegrerà durante tutta la giornata.
Arrivati sotto la vetta ci confrontiamo sul percorso da seguire: salire lungo la normale più diretta ma incerta per la sua ripidità e il fondo sconnesso, o proseguire fino alla Forcella di Fellaria da cui prendere la cresta sommitale che con diversi saliscendi conduce alla vetta? Scegliamo la seconda opzione e, lasciate le attrezzature da pernotto in un anfratto sul passo, seguiamo la precaria via di salita fra ometti di sassi, raggiungendo la vetta dopo aver sbagliato direzione almeno un paio di volte.
Mentre la squadra raggiunge la cima panoramica del Sasso Moro, da cui si gode una vista senza eguali del gruppo del Bernina e i suoi ghiacciai, Federico realizza dall’anticima una splendida ripresa con il drone, seguendo il passaggio della squadra nel ripido canalino sommitale per aprirsi improvvisamente sul vasto panorama circostante.
Arrivati sula vetta mi metto subito alla ricerca della posizione esatta da cui Corti aveva realizzato la sua immagine e mi rendo conto, dall’allineamento dei massi in primo piano, che il fotografo aveva poggiato molto probabilmente la fotocamera a terra o utilizzato dei sassi al posto del cavalletto, costringendomi ad una posizione di scatto molto scomoda. Quasi tutte le ripetizioni fotografiche richiedono lunghe e faticose operazioni tra montaggio della fotocamera, scelta della lente, inquadratura, esposizione, messa a fuoco e scatto, ma questa volta l’impegno è amplificato dal dover scattare a soli 20 cm da terra! Stringo i denti e con acrobazie degne di un contorsionista proseguo nella realizzazione di questa complicata, ma fondamentale  immagine.
Al rientro, dopo qualche giorno, lo sforzo sarà ripagato dal risultato. Già scattando immaginavamo il particolare impatto del confronto tra l’immagine storica e la situazione odierna, ma l’effetto visivo della dissolvenza delle due immagini è veramente impressionante: il ghiacciaio del Fellaria, infatti, non solo si è diviso in due sezioni dando vita ad una lingua glaciale alimentata solo dai crolli della porzione superiore, ma l’intera valle, abbandonata quasi per intero dal ghiacciaio, ha cambiato completamente la sua morfologia con la comparsa di un enorme lago esteso quanto 30 campi da calcio.

16 luglio – Monte delle Forbici e Vallone di Scerscen
Oggi, dopo aver pernottato al rifugio Carate, siamo saliti sulla Vetta delle Forbici a circa 3000 metri quota, da dove ho ripetuto uno scatto di Alfredo Corti del ghiacciaio dello Scerscen. Avevo ripetuto la stessa immagine anche lo scorso anno durante la pre-spedizione, ma non ero soddisfatto del risultato perché ero stato costretto a scattarla in un orario differente rispetto alla fotografia storica a causa di alcuni cumuli che avrebbero coperto l’inquadratura se avessi aspettato l’orario giusto. Per realizzare la nuova immagine, che quest’anno mi ha davvero convinto, ho dovuto aggirare una nuova e gigantesca croce in acciaio saldamente fissata al suolo e che si trova esattamente nel punto da cui Corti aveva scattato la sua immagine…Un’ulteriore peripezia in questa missione “acrobatica”!
Scendendo verso il vallone di Scerscen abbiamo costeggiato il laghetto delle Forbici da cui ho ripetuto un meraviglioso scatto di Corti nel quale si vedono le montagne della catena del Bernina riflesse nello specchio del lago.
Subito dopo siamo scesi nell’imponente vallone dello Scerscen che sale per oltre duemila metri attraversando gole rocciose e pascoli fino alle vette glaciali del Bernina. Nel fondovalle del vallone si trova il “Cimitero degli Alpini” vittime di due slavine che li colsero nel 1917 durante gli spostamenti invernali per gli approvvigionamenti: una prima valanga investì una squadra e una seconda travolse fatalmente gli altri soldati che erano corsi in aiuto. Si contarono alla fine 24 vittime, una triste storia della nostre montagne.
Da questo intenso luogo di memoria ho potuto ripetere alcuni scatti di Alfredo Corti che rappresentavano il cimitero e la piccola valle dove allora si era formato un lago oggi scomparso a causa del ritiro del ghiacciaio che ne costituiva il bordo a valle.
 
20 luglio – Valle dei Forni
La missione odierna ha come destinazione la Cima Occidentale dei Forni, a 3227 metri di quota, dalla quale abbiamo in programma di ripetere alcune immagini di Vittorio Sella del 1895. Dobbiamo salire per circa mille metri di dislivello, portando con noi le attrezzature per il bivacco in tenda che abbiamo pianificato la sera al Lago della Manzina ed essere in vetta entro le 9, ora in cui riteniamo sia stata scattata l'immagine storica.
Sveglia molto presto, dunque, e alle 4:30 siamo già in marcia. Ci accompagna Matteo Trevisan, fotografo free-lance che sta lavorando a un interessante progetto a lungo termine sulla desertificazione della Pianura Padana ed è interessato a documentare il nostro lavoro sui ghiacciai.
L’aria del primo mattino è fresca e ci sprona mentre saliamo immersi in uno splendido bosco di larici illuminato solo dalle luci delle nostre frontali. Mentre scolliniamo nella conca della Manzina rapidamente sopraggiunge un’alba meravigliosa, con le vette circostanti illuminate dall’improvvisa luce calda del mattino e riflesse nell’azzurro delle acque del lago. Uno spettacolo indimenticabile.
Poco dopo abbiamo incontrato Emanuele Bompan, giornalista ambientale, e la geografa Valeria Pagani che ci hanno accompagnato nella salita per un reportage sulla spedizione.
Lasciati i materiali da bivacco, per il quale avevamo ottenuto il necessario permesso da parte del Parco Nazionale dello Stelvio, siamo saliti prima su facili morene per immergerci poi in un ripido vallone detritico che con un po’ di fatica conduce alla cresta che congiunge le numerose vette dei Forni.
Come accade spesso con le immagini realizzate dalle creste, ci accompagnava l’incognita di non sapere esattamente da quale punto Vittorio Sella avesse scattato le sue meravigliose fotografie oltre 130 anni fa. Il tempo cominciava a stringere, con le ombre sulla montagna che assumevano sempre più la forma dello scatto originale. Anche in questa occasione l’intuito di Riccardo è stato molto prezioso per individuare nei tempi necessari il punto esatto da cui scattare e con grande soddisfazione sono riuscito a ripetere gli importanti scatti di Sella che offrono una delle viste più imponenti del gruppo dell’Ortles e del ghiacciaio dei Forni. Come era già evidente a prima vista, purtroppo anche in questo caso dal confronto fra le immagini storiche e quelle moderne è emersa una drammatica riduzione delle masse glaciali.
L’avanzare dei cumuli che oscuravano il versante orientale dei Forni ci ha trattenuto in vetta per alcune ore, in attesa che le nuvole liberassero la vista per alcuni scatti ulteriori. Soddisfatti degli ottimi risultati fotografici, nel primo pomeriggio abbiamo deciso di scendere verso il lago della Manzina, dove non siamo riusciti a resistere alla tentazione di un bel bagno nelle fresche acque del lago!
Salutati Emanuele e Valeria, che avevano in programma di rientrare a valle, abbiamo allestito il campo sul magnifico dosso a monte del lago che domina l’intera Valle dei Forni con il profilo del San Matteo e del Pizzo Tresero riflessi nella conca davanti a noi.
Mentre Federico e Riccardo preparavano le fotocamere per le lunghe riprese notturne e io approfittavo delle ultime splendide luci del tramonto per alcuni scatti suggestivi, Marco e Dario hanno preparato un cous-cous con verdure accompagnato da un po’ di pane e formaggio. Sceso il buio ci siamo radunati intorno al fornello e abbiamo consumato con gusto la nostra cena essenziale, felici dell’ottima giornata e di trovarci immersi in uno degli scenari più belli delle Alpi Centrali.