"La città delle donne"

1980

Ti lasci portare dalla cavalcata delle invenzioni, e riesci ancora a stupirti (come un ragazzino che ha scoperto da poco il cinema), a ogni sequenza, a ogni inquadratura. Se nella Città delle donne latita la suspense per la storia, o per gli ingredienti (non te ne importa niente di come andranno a finire Snàporaz o Katzone, sai benissimo che a un dato punto arriveranno Rimini e le comparse tettone,) c’è la suspence delle immagini, delle trovate sceniche: avverti benissimo che Fellini sta per inventare, ma l’invenzione non sai mai come e a che punto ti arriva.
Giorgio Carbone su La Notte del 29 marzo 1980

Commedia grottesca realizzata da Fellini nel 1979, interpretata da Marcello Mastroianni nella parte di Snaporaz, un uomo maturo, incauto e indifeso che si addentra nei pericolosi meandri del pluridimensionale pianeta-donna scendendo dal treno dove sta viaggiando con la moglie Elena per seguire una sconosciuta. Segue il vero viaggio del protagonista che finisce per trovarsi in un albergo dove si sta svolgendo un animato e tumultuoso congresso di femministe che parlano di temi scontati dell'attualità che Snaporaz però non riesce a capire. Dopo misteriose vicende connesse con i suoi tentativi di fuga, l'uomo finisce nel castello di Katzone, un santone dell'eros che vive in una sorta di "reliquario sessuale", popolato di donne formose e provocanti, autentici simboli della donna-oggetto. Dal castello, ancora assai misteriosamente, Snaporaz finisce in un'aula di tribunale ove ritrova le femministe che lo condannano e passa in un'arena ove dovrebbero godere del suo linciaggio. Ma sale sempre più in alto sino a che non si risveglia sul treno, davanti alla moglie.

Presentato fuori concorso al 33º Festival di Cannes, La città delle donne nel 1980 vinse quattro Nastri d'argento al Miglior film, Migliore scenografia (Dante Ferretti), Migliori costumi (Gabriella Pescucci) e Migliore Fotografia (Giuseppe Rotunno). L'opera, vietata ai minori di 14 anni, suscitò all'epoca grandi polemiche sulla stampa e pesanti critiche da parte dei movimenti femministi.

La tentazione de La città delle donne di fondere una specie di sbalordita confessione di divertita impotenza di fronte alla "nuova" donna di oggi insieme alla nostalgia verso la "vecchia" donna di ieri [...], pur riproponendo la genialità
smisurata di Fellini in tutta la sua solitaria furbesca sfrenatezza, non raggiunge che di rado quella armonia di estro, di ordine, di fantasmagoria da fumetto, di ironia da "pamphlet" che deve aver
stimolato da anni la fantasia dell'autore.
Claudio G. Fava sul "Corriere Mercantile", 4 aprile 1980