Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano

Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano

La scoperta dei libri

Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano
In Ragazzo italiano, pubblicato da Feltrinelli, Gian Arturo Ferrari, racconta la storia di Ninni dall’infanzia trascorsa tra la cittadina del padre Zanegrate (in Lombardia) e le lunghe vacanze in Emilia a Querciano dalla nonna materna fino alla fine degli studi liceali a Milano. Scritto in terza persona, il libro ricostruisce il clima dell’Italia negli anni cinquanta-sessanta: i giochi all’aperto, le messe, i silenzi in famiglia soprattutto sul sesso, il rapporto con i contadini, la lenta conquista del benessere, l’avvento della televisione, le vacanze in colonia. Istradato precocemente alla lettura dalla nonna, ex insegnante dalla vita travagliata (rimasta vedova con figlia a vent’anni in Argentina, è tornata indietro da sola), Ninni fatica alle elementari alle prese con una maestra che lo considera scemo perché tartaglia, ma già dalle medie diventa bravissimo. Il padre, deluso dalla sua inesistente attitudine alla tecnica, non ha quasi rapporti con il figlio, e di punto in bianco vorrebbe che tutti lo chiamassero con il suo vero nome, Pieragusto. Ninni/Pietro al liceo trova un professore appassionato che porta i suoi allievi a mostre e concerti, spalancandogli un mondo in cui finalmente trova se stesso. La storia di una formazione che s’intreccia con la storia del nostro paese dalla metà del secolo scorso.

Andavano sgangheratamente nella notte, il bambino e la nonna, sembravano due ubriachi. La nonna che oscillava di qua e di là a ogni passo per il peso della valigia, il bambino tenuto per mano che si spenzolava dall’altra parte. Fingeva di essere prigioniero e di voler scappare, era un gioco. Dai su, ripeteva la nonna, dai Ninni su, andiamo, andòm. Non era arrabbiata, aveva anzi piacere a vederlo così vispo, ma non voleva neanche perdere il treno.


Gian Arturo Ferrari (1944) ha insegnato Storia del pensiero scientifico presso l’Università di Pavia. Editor della Saggistica Mondadori nel 1984, direttore dei Libri Rizzoli nel 1986, rientrato in Mondadori nel 1988, con il 1989 ha scelto infine l’editoria e si è dimesso dall’Università. Direttore dei Libri Mondadori nei primi anni Novanta, è stato dal 1997 al 2009 direttore generale della divisione Libri Mondadori. Dal 2010 al 2014 ha presieduto il Centro per il libro e la lettura. Dal 2015 al 2018 è stato vicepresidente di Mondadori Libri. È editorialista del Corriere della Sera. è autore del libro Libro (Bollati Boringhieri, 2014). Ragazzo italiano è il suo primo romanzo.
 

Di seguito l’intervista di Rai letteratura.


Ragazzo italiano è un romanzo di formazione in cui si intuiscono tratti autobiografici e parti d’invenzione. Perché non ha voluto raccontare la sua storia e perché ha scelto la terza persona?
Perché il mio scopo era raccontare sì la storia, ma soprattutto il sapore di una generazione, compressa tra quella che l’ha preceduta, quella della guerra, e quella che l’ha seguita, quella del benessere. È uno svolgimento del titolo: c’è il ragazzo, ossia la vicenda individuale, e c’è l’italiano, ossia la grande scena collettiva. Per raccontarla ho attinto in ugual misura alla mia vicenda personale, alla storia di quel periodo e alla fantasia. Moltissime opere letterarie del Novecento, a cui non oso paragonarmi, sono costruite in questo modo, attraverso un filtro autobiografico, ma con un orizzonte storico, sociale e ambientale amplissimo.


Uno dei tratti più evidenti del libro è la capacità di calarsi nelle paure, nei divertimenti, negli slanci di un bambino. C’è una grande freschezza e un grande realismo nelle descrizioni dei primi anni di vita di Ninni. Da dove ha tratto questo sguardo sull’infanzia?
Da dove l’abbia tratto non saprei dire, mi è venuto così. Ho sempre pensato che i bambini abbiano una forte personalità e uno sguardo molto acuto. Vedono molte più cose degli adulti e in particolare capiscono benissimo quel che gli adulti non vorrebbero che capissero. Io ho giocato il mio personaggio tra la paura, per le sue molteplici debolezze, l’intuizione della realtà e una grande, inesausta, curiosità.


Ninni cresce all’ombra di una serie di figure femminili che lo proteggono e lo istradano verso le sue passioni future, mentre il rapporto con il padre resta molto negativo. Ci può illustrare questo aspetto che rispecchia anche un modo tradizionale di concepire la paternità?
Gli uomini, i maschi intendo, del dopoguerra erano molto diversi da quelli odierni. Molto più rigidi e autoritari, molto più duri. Erano cresciuti sotto il fascismo e, anche se erano antifascisti, nei modi, nel comportamento quotidiano, nell’antropologia erano rimasti quelli. Persone chiuse, infelici nella rigida corazza che la storia gli aveva fatto indossare. Il personaggio del padre ha solo qualche tratto autobiografico (la vicenda del suo di padre, del nonno del protagonista, per esempio) ma per il resto è una tipologia molto comune in quel periodo. Penso che uno dei grandi progressi del nostro tempo, non abbastanza riconosciuto, sia stato proprio il capovolgimento dell’antropologia maschile.


In filigrana nel libro si racconta l’evoluzione del costume, il passaggio dalla civiltà contadina a quella borghese, l’avvento della televisione, l’inizio della società dei consumi. C’è stata una parte rilevante di ricerca storica nella stesura del libro?
Il libro descrive tre civiltà, due delle quali scomparse, la terza sopravvissuta in parte, ma radicalmente mutata. Da questo punto di vista è un’opera di archeologia. La prima è la civiltà rurale, nel nostro caso emiliana, una civiltà plurimillenaria, quasi completamente sparita. (Come si vede da frane, inondazioni e molteplici disgrazie causate dal fatto che i terreni di collina e di montagna non sono più coltivati). L’odierna agricoltura industriale è, appunto, un settore dell’industria. La seconda è la civiltà (mescolata a molta inciviltà) della prima rivoluzione industriale. Nel libro è la cittadina di Zanegrate, nel nord della Lombardia. Macchine a vapore, carbone, ciminiere, sirene, una società gerarchica, divisa in classi, durissima. Sparita, per grazia di Dio. La terza è la civiltà mista tra la tradizione commerciale e la seconda rivoluzione industriale, taylorismo, tempi e metodi, la figura del padre. È la Milano riformista e colta che diventa la patria del protagonista. Su questi temi ho sempre letto più o meno tutto quel che c’era da leggere. E siccome ho buona memoria non ho dovuto rileggere quando ho scritto il libro.


Si può dire che Ragazzo italiano è la storia di un’emancipazione avvenuta grazie allo studio, alla scoperta dell’amore per la cultura?
Sì, certo, è proprio così. È soprattutto la scoperta di una vocazione, quella per i libri, la cultura, la letteratura che si compie su tre livelli. Il primo è quello del contatto diretto, fin dalla prima infanzia, con i libri. La familiarità. Il secondo è l’abitudine alla fatica mentale, rappresentato dal personaggio della nonna. L’esercizio e la ginnastica. Il terzo è il percorso di avvicinamento e infine l’approdo nel mondo vero e proprio della cultura, con i suoi riti e le sue figure magne. I grandi professori, i grandi intellettuali. Il denominatore comune di queste esperienze è la scuola. Tutto il libro è un inno, non retorico, alla scuola. Alla scuola pubblica italiana e all’idea di merito che la sorreggeva e la sorregge tuttora. Non solo e non tanto per la sua funzione di ascensore sociale, quanto per l’arricchimento in sé, per l’ampliamento di orizzonti che era ed è in grado di offrire. Per la capacità di costruire e donare una nuova dimensione interiore.


Foto di Paolo Bramati