Ermanno Olmi. Tornare umani

A 90 anni dalla nascita del regista de L'Albero degli zoccoli

La semplicità è la necessità di distinguere sempre, ogni giorno, l'essenziale dal superfluo

Novant’anni fa, il 24 luglio del 1931 nasceva a Treviglio, nelle campagne del bergamasco, Ermanno Olmi. Le origini contadine e i principi di un cristianesimo che mette al centro l’uomo etico, portatore dei valori più veri, saranno nutrimento e fonte d’ispirazione costante del suo cinema. Il rispetto per l’altro, il proprio simile, la natura, la vita in tutte le sue espressioni alimentano, in 50 anni di carriera, una produzione ricca ed ispirata che ha ottenuto riconoscimenti in tutto il mondo.

I primi documentari Olmi li gira da impiegato alla Edison Volta di Milano dove viene assunto all’inizio degli anni Cinquanta. Il diploma conseguito all’Accademia d’Arte Drammatica gli consente di proporre all’azienda la realizzazione di una trentina di cortometraggi ispirati al mondo del lavoro, tra cui La diga sul ghiacciaio, Cantiere d’inverno, Il frumento, Tre fili fino a Milano.


Ermanno Olmi negli anni Ottanta gira un documentario sulla sua Milano

Nel 1959 firma il suo primo lungometraggio intitolato Il tempo si è fermato che racconta l’amicizia tra un ragazzo di città e il guardiano della diga dell’Adamello, nata durante una notte di tormenta. L’anno successivo presenta alla Mostra di Venezia Il posto con cui nel ’61 vince tre premi a Venezia, il BFI Sutherland Trophy e nel ’62 il David di Donatello.

Nel 1965, quando esce nelle sale italiane E venne un uomo, il suo tributo appassionato alla figura di papa Giovanni XXIII, Olmi comincia a lavorare per la televisione, dirigendo film, inchieste e documentari. Tra questi In nome del popolo italiano realizzato insieme al giornalista Corrado Stajano e incentrato sul tema della costituzione del nuovo Stato repubblicano in Italia, a partire dal dibattito dell’Assemblea Costituente.

Nel 1978 il suo capolavoro indiscusso, L’albero degli zoccoli, conquista la Palma d’oro al Festival di Cannes. Il film, girato con attori rigorosamente non professionisti nelle campagne padane, ottiene riconoscimenti in tutto il mondo e dà ad Olmi fama internazionale.


Una scena del capolavoro di Olmi, "L'albero degli zoccoli" del 1978

Il suo amore per la vita semplice, a contatto con una natura ancora incontaminata, lo porta a trasferirsi sull’altopiano di Asiago dove, nel 1982, dà vita al progetto “Ipotesi cinema”, una scuola aperta a tutti i giovani con la passione per la regia cinematografica. Qui, sotto la guida del Maestro, crescono talenti come Giacomo Campiotti, l’autore di Braccialetti Rossi, e Maurizio Zaccaro.

Una grave malattia che lo colpisce nel 1983, lo costringe ad una pausa forzata, durante la quale si dedica alla scrittura del romanzo “Ragazzo di Bovisa”. Olmi torna sul set con il film Lunga vita alla signore con cui vince il Leone d’argento alla Mostra di Venezia nel 1987 e intanto gira uno dei suoi maggiori successi di pubblico e di critica, La leggenda del santo bevitore, tratto dal racconto autobiografico dello scrittore austriaco Joseph Roth e interpretato dall’attore Rutger Hauer. Con questo film Olmi finalmente conquista il Leone d’Oro. Sempre ad un romanzo, questa volta dell’italiano Dino Buzzati, è ispirato Il segreto del bosco vecchio, realizzato nel 1993 e interpretato da Paolo Villaggio.

Tornato alla televisione, nel 1994 dà vita al grande progetto di tradurre sulla pellicola il primo capitolo della Bibbia con Genesi, creazione e diluvio: la potenza della Natura incontaminata fa da sfondo alla vita semplice di una comunità di pastori nomadi, là dove tutto ebbe inizio. Colonna sonora di Ennio Morricone.

Dopo un silenzio durato cinque anni, Olmi torna dietro la macchina da pressa per Il mestiere delle armi (2001). Per la prima volta affronta un film in costume per raccontare gli ultimi giorni di vita del condottiero Giovanni delle Bande Nere (Ludovico De’ Medici), soldato di ventura al servizio dello Stato Pontificio nella prima metà del Cinquecento. Molte e piuttosto esplicite le allusioni all’attualità politica italiana. Presentato in concorso al 54° Festival di Cannes, la pellicola vince bel 9 David di Donatello su 9 candidature. 

All’opera del poeta cinese Yuentsze Yunglun, dedicata alla piratesca Ching, pubblicata a Canton nel 1830, è invece ispirato Cantando dietro i paraventi (2003) di cui Olmi scrive anche soggetto e sceneggiatura. Un’invocazione alla pace e al perdono reciproco che la critica ha paragonato, in netta contrapposizione, con Kill Bill di Quentin Tarantino che invece esalta la guerra in nome della vendetta.

Questo è forse il primo film di pirati senza scene cruente: in un quadro di violenza implicita, l’unico arrembaggio è la presa di possesso di una nave che non fa resistenza
Tullio Kezich

Nel 2005, insieme a Ken Loach e Abbas Kiarostami, Olmi partecipa al film collettivo in tre episodi Tickets in cui racconta un viaggio in treno durante il quale si incrociano le storie di vari passeggeri e nel 2007 esce Centochiodi, summa della sua poetica e tributo pieno di gratitudine a quelli che Olmi considera i suoi maestri: Rossellini, Pasolini, Bergman, Kiarostami.

Gli ultimi anni di vita e di lavoro di Ermanno Olmi si sintetizzano in tre titoli: Il villaggio di cartone del 2011, monito all’umanità che va verso l’autodistruzione; Torneranno i prati del 2014, ambientato sul fronte Nord Orientale durante la prima guerra mondiale e basato su fatti realmente accaduti. La sua ultima opera, il cortometraggio Il pianeta che ci ospita, è un invito ai paesi ricchi del mondo ad impegnarsi per garantire cibo, acqua e dignità a tutti gli esseri viventi secondo un principio di giustizia universale. Un inno all’uguaglianza e alla convivenza pacifica, al tornare pienamente umani.