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 Guido Reni ritorna alla Galleria Borghese

Guido Reni ritorna alla Galleria Borghese

Il recupero di un quadro ritenuto disperso, acquistato dallo Stato italiano

Dopo una serie di dense ricerche la restituzione dell’opera alla mano di Guido Reni (Bologna 1575-1642) costituisce una delle più importanti e inattese scoperte degli ultimi anni, insieme a quella della sua documentata provenienza dalla collezione del cardinale Scipione Borghese.

Una scena quasi notturna dal cielo blu profondo come le montagne, un ballo campestre accompagnato dalla musica del liuto e della viola organizzato da un gruppo di contadini, alla presenza di nobildonne e signori del luogo. E' uno dei rarissimi dipinti di paesaggio eseguito da Guido Reni durante il primo soggiorno a Roma tra il 1601 e il 1602 e appartenuto a Scipione Borghese, il potente mecenate che desiderava fare di Reni il suo pittore di corte considerandolo, dopo la morte di Annibale Carracci, l’artista più importante presente sulla scena romana.
A lui, infatti, la famiglia Borghese, nella persona del papa Paolo V, affidò gli affreschi della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore e fu committente di uno dei suoi massimi capolavori, l’Aurora (1614) nel casino ora Pallavicini-Rospigliosi, quando questo era la prima impresa edile e residenza del cardinale Scipione. Il cardinale volle per sé anche la Santa Cecilia (1606), poi venduta a Luciano Bonaparte, conservata ora nel Norton Simon Museum di Pasadena, in California.Tuttora la Galleria possiede un’altra importante opera di Guido Reni, il Mosè con le tavole della Legge, riferibile alla maturità dell’artista. Ma a differenza degli altri dipinti del maestro bolognese, la Danza campestre ha avuto un'esistenza sommersa per oltre un secolo. 



Testimoniata all'interno della collezione Borghese nel 1650 dalle memorie di Jacopo Manilli, addetto al guardaroba del Casino Nobile, nel libro Villa Borghese fuori Porta Pinciana e in un dettagliato inventario del 1693, quando era stata spostata all'interno del palazzo di città, successivamente non si hanno tracce dell'opera. La menzione di un dipinto con un ballo campestre ritorna nel catalogo delle vendite del 1892, quando la famiglia Borghese mette all'asta molti beni. In questo passaggio non è più registrato il riferimento diretto all'autore italiano e il dipinto, che si fa notare per la ricchezza dei dettagli realistici, viene attribuito ad un anonimo pittore fiammingo, per poi tornare di nuovo sul mercato londinese soltanto nel 2008 riferibile genericamente ad un artista di scuola bolognese. 



L'alta qualità della Danza campestre (olio su tela, 81x 99 cm), tuttaviaha dato l’avvio ad una serie di indagini e dopo le prime ipotesi attributive, ricercate tra i pittori emiliani specialisti del genere - da Viola a Tamburini, Badalocchio, Domenichino, il giovane Guercino o il Mastelletta - il dipinto è stato riferito ad Agostino Carracci, per il confronto con un suo dipinto di analogo soggetto, conservato al Musée des Beaux-Arts di Marsiglia. Ipotesi presto scartata per ragioni stilistiche e cronologiche, fino al riconoscimento dell’autografia di Guido Reni da parte di Keith Christiansen per le tangenze con alcune opere del maestro passate nel mercato antiquario. Esposto nel marzo 2020 dalla Galleria Fondoantica di Bologna, alla fiera di antiquariato di Maastricht, il dipinto è stato acquistato dallo Stato italiano, attraverso una trattativa condotta da Anna Coliva, ex direttrice della Galleria Borghese, per la cifra di ottocentomila euro ed è rientrato definitivamente in Italia nel dicembre scorso.   



Restituita alla mano dell'artista emiliano considerato l'erede di Raffaello e finalmente ricongiunta alla collezione di Scipione, la Danza Campestre sarà esposta nella Galleria Borghese insieme ad altri dipinti con scene di paesaggi. Un soggetto abbandonato da Guido Reni nella piena maturità e al suo rientro definitivo a Bologna, per dedicarsi a narrazioni auliche, di carattere mitologico e religioso.
L'olio della collezione Borghese, pervaso degli echi della cultura bolognese dei Carracci e dei paesaggi di Nicolò dell’Abate, testimonia, pertanto, un volto poco conosciuto dell'artista barocco che ha dato vita ad una scena corale costruita attraverso l'ampio repertorio degli atteggiamenti dei personaggi e una sorprendente perizia tecnica nel riprodurre particolari insoliti, come la presenza di alcuni insetti. Elementi che confermano quanto per Guido Reni sia stato fondamentale lo studio delle fonti antiche, anche nell'esecuzione del genere paesaggistico:

 [...] Ci sono due mosche che sono raffigurate a grandezza naturale nel cielo: questo ci riporta  probabilmente alle descrizioni antiche delle opere d'arte che per essere particolarmente apprezzate dovevano avere questa qualità illusionistica. Quindi anche nel caso di un quadro che ha molto a che vedere con l'improvviso sviluppo di un genere così moderno e così contemporaneo come quello del paesaggio campestre con delle scene di vita quotidiana, Guido si ricorda di gareggiare con gli antichi. 
Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese  

Si ringrazia per l'autorizzazione all'uso dell'immagine il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo - Galleria Borghese