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Divina Commedia: Inferno, Canto XIII

Il commento dei critici Petrocchi e Baldelli

I critici letterari Giorgio Petrocchi e Ignazio Baldelli, nella prestigiosa cornice della biblioteca Vallicelliana di Roma, commentano il Canto XIII dell'Inferno di Dante.

Dante e Virgilio, attraversato il Flagetonte in groppa al centauro Nesso, si ritrovano in una foresta ove abitano le Arpie. Siamo nella selva dei suicidi. Il suicida è colui che ha divelto l'anima dal corpo, dicono i commentatori: una rottura che dice no alla vita e alla creazione divina. Il tema del suicidio è ipersignificato nei versi che, per nove volte, ripetono la stessa negazione. Si tratta di una scelta stilistica ricorrente nella poesia della Commedia.
Una selva di sterpi e bronchi disseccati, volti anch`essi a negare la natura fiorente e trionfante, costituiscono lo scenario del canto, insieme alle Arpie, figure mitologiche a metà tra l'umano e il bestiale. L'incontro con Pier delle Vigne è di un'intensità straziante. Di questo personaggio Dante salva la magnanimità, a cui fa da contraltare l'orrido circostante. Nel prosieguo del viaggio Dante incontra gli scialacquatori, verso i quali nutre un forte disprezzo. Qui il commento si sofferma distesamente sulla tecnica poetica: gli endecasillabi, che procedono in modo lento e sacrale nella parte dedicata a Pier delle Vigne, prendono un ritmo saltellante nel secondo episodio, quello, appunto, dei disprezzati scialacquatori.

Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato.

Non fronda verde, ma di color fosco; 
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; 
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco:

non han sì aspri sterpi né sì folti 
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno 
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.

Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, 
che cacciar de le Strofade i Troiani 
con tristo annunzio di futuro danno.


Dante Alighieri, considerato il padre della lingua italiana nonché pilastro della letteratura mondiale, nacque a Firenze tra il 21 maggio e il 21 giugno del 1265. La sua opera più importante, la Comedìa, conosciuta come la Divina commedia e composta tra il 1306 e il 1321, è letta e studiata in tutto il mondo e rappresenta probabilmente la più importante testimonianza della letteratura medievale e del dolce stil novo. Tra le sue altre, magistrali e celeberrime opere ricordiamo: la Vita Nova, composta tra il 1292 e il 1293, dedicata all'amore per Beatrice e che comprende il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare; il Convivio, composto tra il 1303 e il 1308, in cui emerge il ruolo civile della letteratura; il De vulgari eloquentia, trattato composto in latino tra il 1303 e il 1304 in cui Dante difende la dignità e l'importanza della lingua "volgare"; e De monarchia, opera composta tra il 1310 e il 1313 in cui convergono tutto il suo pensiero e la sua filosofia politica. Muore a Ravenna, in esilio dalla sua amata Firenze, nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321.