Rai Cultura
Da Maus alle Twin Towers: le ombre di Art Spiegelman

Da Maus alle Twin Towers: le ombre di Art Spiegelman

Intervista al grafico e illustratore Riccardo Falcinelli

Copertina rigorosamente nera e tavole in technicolor per il graphic novel di Art Spiegelman L'ombra delle torri, che dedica una visione assolutamente caotica e disperata dell'attentato alle Torri Gemelle. Ne parliamo in questa intervista di Maria Agostinelli a Riccardo Falcinelli.

Riccardo Falcinelli - grafico e illustratore, disegnatore, tra le altre cose, dei graphic novel Cardia Ferrania e Grafogrifo - ci parla di uno dei maggiori fumettisti al mondo: Art Spiegelman. Il suo lavoro L'ombra delle torri dedicato all'attentato alle Torri Gemelle, lo straordinario successo di Maus, il Pulitzer vinto nel 1992, le illustrazioni per il New Yorker: Spiegelman si è sempre posto in maniera critica verso gli eventi della cronaca e della storia, offrendo una visione controcorrente e sempre stilisticamente efficace. Quest'ultimo, allucinato lavoro - una visione personalissima dell'attentato alle Torri Gemelle di New York - utilizza la storia del fumetto statunitense per ingaggiare una sfida contro l'incomprensibile orrore di quell'11 settembre 2001. Un lavoro che non sempre si rivela efficace, ma che contiene indubbiamente singole tavole di abbagliante potenza. 

Ancora una volta la storia per Art Spiegelman, e ancora una volta un evento assolutamente tragico: dopo la Shoa raccontata in Maus, torna con L’ombra delle torri a darci la sua visione allucinata dell'11 settembre 2001... 
L’ultimo libro di Spiegelman, L’ombra delle torri, si concentra su un evento drammatico – ossia l’attentato alle torri gemelle di New York - ma mostra anche una notevolissima capacità di assemblaggio di pezzi. Spiegelman ha un talento incredibile nel giustapporre materiali senza che questi risultino meramente giustapposti: tutto diventa organico, nessuna citazione è fine a sé stessa. Pochissimi sono in grado di fare delle cose del genere. Mi sembra, però, che il tutto risulti appesantito dal fatto che Spiegelman si sente investito dal dovere di comunicare cose importanti. Questo è forse il limite più forte dei suoi ultimi lavori: smette di raccontare perché ha troppo da dire. Il didascalismo diventa troppo presente, a scapito della poesia.

Ne L’ombra delle torri Spiegelman opera una ricognizione nella storia del fumetto americano, mischiando le vicende di personaggi “classici” come Krazy Kat o Yellow Kid – fumetti di largo consumo, stampati sui quotidiani – agli eventi storici degli USA, fino alla tragedia dell’11 settembre. Secondo te qual è il suo intento? E quanto è riuscita questa operazione?
Ne L’ombra delle torri c’è una citazione compulsiva di materiali. Si tratta di elementi non casuali perché sono tutti tratti dal mondo del fumetto. Da un punto di vista compositivo Spiegelman riesce benissimo a rendere presenti tutti questi materiali: in un certo senso Krazy Kat, Yellow Kid e i monelli terribili di ottant’anni fa diventano abitanti della Manhattan dell’11 settembre, idealmente coinvolti in quello che sta succedendo. Tutto questo non è fine a se stesso: credo che, ogni volta che abbiamo paura di ciò che ci sta accadendo, la prima risposta che siamo in grado di darci per afferrare un senso passi attraverso la storia. La storia non è maestra di vita, ma è l’unico elemento a cui ci possiamo veramente riferire: non abbiamo altra scelta. Spiegelman torna alle origini del linguaggio che ha deciso di usare pescando dall’ambito statunitense. Questo non tanto per raccontare una storia, quanto per dirci che alla storia dobbiamo tornare.

Dobbiamo capire che cosa è successo utilizzando tutti i pezzi che abbiamo a disposizione, prendendoli dalle loro origini. Spiegelman lo fa trasformando la citazione in poesia, e L’ombra delle torri diventa un omaggio alle sue letture preferite, quelle che lo hanno formato.

Questo era già accaduto in Maus. Ma mentre Maus è essenzialmente una narrazione - e l’eventuale citazione è riassorbita in un racconto organico e nuovo - ne L’ombra delle torri tale inglobamento non è presente, forse perché non è necessario. Se in Maus la cosa fondamentale era raccontare, probabilmente ne L’ombra delle torri è sufficiente mettere i vari materiali l’uno accanto all’altro, perché rispetto all’11 settembre manca un orizzonte di senso che tenga insieme tutti i pezzi: è un racconto della crisi, non un racconto della risposta. Non so se l’esperimento di Spiegelman sia riuscito o no, posso solo dire che a me è piaciuto molto.

L’ombra delle torri è dominato da una specie di horror vacui: tutte la tavole sono pienissime e coloratissime. In Maus invece – come anche nei Persepolis della fumettista Marjane Satrapi – domina un bianco e nero rigoroso e i disegni sono piccoli e scarni. Probabilmente Maus e Persepolis si riferiscono a due storie che – come dicevi tu – sono già inserite in un orizzonte storico, mentre l’attentato alle Twin Towers ancora non lo è. Ci puoi parlare di questa modalità tutta fumettistica di raccontare la storia e di come gli stessi autori si pongano quali testimoni degli eventi che raccontano?
Le differenze più evidenti tra Maus e L’ombra delle torri sono in primo luogo il formato – L’ombra delle torri è formato tabloid, Maus è formato romanzo – e poi il colore, che ne L’ombra delle torri è in fiammeggiante tecnicolor mentre in Maus ostenta un bianco e nero senza mezzi toni. Scelte del genere hanno sempre una ragione. Personalmente credo che il bianco e nero di Maus e la sua asprezza – completamente assente nel bianco e nero disneyano – vadano verso l’espressionismo, che è assolutamente coerente con ciò che viene raccontato. Paradossalmente, inoltre, il bianco e nero assume un valore più realistico, perché annulla la distrazione portata dal colore. In un certo senso, però, è anche più astratto. In Maus avviene proprio questo: il bianco e nero tende al realismo, a un realismo astratto e straniato. Non bisogna dimenticare che Maus è un racconto basato su ricordi e che parla della Shoa, non è un racconto di fantasia: è il filtro stilistico che lo rende straniato e così straordinariamente efficace.

Ne L’ombra delle torri, come già accennato, il colore è invece assolutamente saturo e irrealistico. Questo perché una tragedia così repentina non è concepibile come reale e perché c’è una forte evocazione del fumetto a colori dei tabloid di inizio secolo, che spezzava il tradizionale bianco e nero delle pagine del giornale. Era l’irruzione del colore nella cronaca.

Tutte le scelte di Spiegelman sono sempre dettate da molteplici spiegazioni e non sono mai casuali. L’ombra delle torri è essenzialmente uno sfogo, una lamentazione, ma stilisticamente impeccabile: Spiegelman non si sostituisce al giornalista, si pone invece nella stessa maniera delle pagine fumettistiche dei vecchi quotidiani. Il tutto condito dall’ironia.

Spiegelman e il Pulitzer: qual è stato l’effetto che questo premio ha avuto sull’autore in particolare e sul fumetto in genere?
Se da una parte il Pulitzer ha nobilitato il “mezzo” fumetto, avvicinandogli anche quei lettori che di solito non lo amavano, rimane comunque da riflettere su una cosa, sul fatto che la nobilitazione del fumetto passa soprattutto per i contenuti: Maus è diventato un fumetto di riferimento per i suoi contenuti prima ancora che per le ragioni stilistiche, ragioni che sono altrettanto grandi. I lettori che non sono abituati al fumetto hanno difficoltà nel riconoscere che l’impegno artistico di un autore si possa rispecchiare tanto nel contenuto quanto (e soprattutto) nello stile, ossia nelle scelte di tratto, di colore, di montaggio. Credo quindi che il Pulitzer a Maus sia stato sia una benedizione sia la consacrazione del fatto che, quando si tratta di fumetti, il grande pubblico è sempre attratto dai contenuti: l’unico tipo di fumetto “importante” risulta essere quello impegnato, quello engagé. Questo rischio, questo fraintendimento è stato vissuto dallo stesso Spiegelman: la grande forza di Maus è la sua capacità narrativa, ma tutti hanno visto il suo autore come uno che aveva delle cose importanti da dire. L’attenzione si è focalizzata sul “che cosa” invece che sul “come”.