
Il fantastico mondo di Marcel Aymé
Intervista al critico Carlo Mazza Galanti
“Martin il romanziere” è un’antologia di racconti dello scrittore francese Marcel Aymé (1902-1967) curata e tradotta da Carlo Mazza Galanti e pubblicata dalL’orma Editore.
Da un maestro del racconto surreale e grottesco una raccolta di gioielli congegnati alla perfezione in cui è l’elemento fantastico a svelare più che mai il reale. Attraverso un acuto umorismo e una straordinaria capacità di sviluppare vicende e personaggi assurdi in modo incredibilmente verosimile, in questi racconti Aymé si prende gioco delle piccole ipocrisie, meschinità e vanaglorie tipiche della borghesia francese del suo tempo, senza però mai porsi al di sopra di tali piccolezze, e anzi trasmettendo al lettore una sorta di affetto per i suoi personaggi strampalati e animati da puerilità, egoismi e megalomanie che in fondo, più o meno abilmente celati, appartengono anche a ciascuno di noi.
Abbiamo intervistato Carlo Mazza Galanti, curatore e traduttore di “Martin il romanziere”, che ha selezionato i racconti contenuti nell’antologia pubblicata dalL’orma e firmato la prefazione:
Chi era Marcel Aymé?
Aymé è stato uno scrittore molto prolifico e popolare in Francia tra gli anni ’30 e ’60, ha scritto una ventina di romanzi, decine di racconti, alcuni saggi, poesie, è stato anche uno sceneggiatore molto apprezzato da registi di polizieschi e noir come Louis Daquin e Pierre Chanois.
Però in Italia oggi è poco conosciuto.
Sì, a parte certi racconti per l’infanzia, per questo ho proposto alL’orma editore di fare un libro che raccogliesse alcuni dei racconti più interessanti. I racconti di Aymé sono stupendi e a parte una raccolta ormai introvabile pubblicata dalla Biblioteca del Vascello anni fa, la maggior parte non sono mai stati tradotti. AlL’orma lavorano benissimo sulla letteratura Francese e mi sembravano i migliori per valorizzare un autore importante ma semi dimenticato.
Con che criterio hai selezionato i racconti?
In tutti i racconti che ho scelto sono presenti elementi fantastici. Aymé ha frequentato anche altri generi nella sua narrativa breve ma il suo stile fantastico mi sembra particolarmente attuale, capace di intercettare i gusti contemporanei: certe cose sembrano quasi fantapolitica, o fantascienza sociologica. Inoltre a differenza di molti autori francesi dell’epoca e non solo, che vengono spesso percepiti come autori “difficili” Aymé ha un freschezza, un’immediatezza che non è minimamente sminuita dal passare dei decenni e che nei racconti si dà più ancora che nei romanzi. Immagina un Simenon umoristico-fantastico.
Di cosa parlano le sue storie?
Parlano di gente comune, impiegatini alla Gogol ma anche artisti pretenziosi e personaggi boriosi. C’è un campionario sociale davvero vario. E poi politica, sesso, religione, miracoli. Nella raccolta delL’orma ci sono donne che ottengono il dono dell’ubiquità e ne approfittano per spassarsela all’insaputa del marito. Ci sono leggi di stato che implicano cambiamenti radicali come la diminuzione del tempo di vita per i soggetti improduttivi o il dimezzamento dell’età di tutti i cittadini francesi. Il racconto del titolo sembra un pezzo di John Barth: uno scrittore a un certo punto si trova a tu per tu con un suo personaggio che reclama un trattamento diverso. C’è anche un pluriomicida in preda a un specie di trance che deambula per Parigi convinto di essere rimasto senz’anima. Cose così, tra la vignetta di costume e Ai confini della realtà.
Che tipo di scelte hanno guidato la traduzione?
La lingua di Aymé, come dicevo, non è stilisticamente molto complessa. La cosa più difficile è stata rendere quella velocità e quell’immediatezza di lettura che fanno sì che quando cominci un racconto poi non riesci a staccarti e quando lo hai finito hai subito voglia di leggerne un altro. Di conseguenza ho cercato semplicemente di trasportare questa immediatezza in una lingua non solo diversa ma anche di mezzo secolo dopo. Non ho cercato di “anticare” troppo pur di restare fedele a qualche espressione un po’ desueta presente nel testo, perché non volevo dare al lettore l’impressione di leggere qualcosa di vecchio.
A un italiano che legge per la prima volta Marcel Aymé non può non venire in mente Italo Calvino, per l’equilibrio tra fantastico e realistico nelle storie raccontate, per l’attenzione e l’esattezza dello stile narrativo. Calvino era vent’anni più giovane di Aymé, pensi che ne sia stato influenzato?
Calvino si è trasferito a Parigi nel 1967 quindi l’anno in cui Aymé è morto, non credo si siano conosciuti, ma mi stupirebbe se Calvino non l’avesse già letto prima di trasferirsi. È vero, ci sono degli elementi simili. Penso a certe cose più umoristiche di Calvino come Marcovaldo o a racconti come quelli de Gli amori difficili dove prende di mira vizi e angosce della borghesia, tra l’altro muovendosi su un registro molto vicino al fantastico e al perturbante come faceva Aymé.
Carlo Mazza Galanti è critico letterario e traduttore. È autore di saggi di letteratura comparata e di una monografia su Michele Mari. Nel 2019 ha publicato per minimum fax Scuola di demoni. Scrive di libri e argomenti culturali per diverse riviste tra cui “IL”, "Nuovi Argomenti”, “Linus”, “minima&moralia”, “Pagina 99”.
Da un maestro del racconto surreale e grottesco una raccolta di gioielli congegnati alla perfezione in cui è l’elemento fantastico a svelare più che mai il reale. Attraverso un acuto umorismo e una straordinaria capacità di sviluppare vicende e personaggi assurdi in modo incredibilmente verosimile, in questi racconti Aymé si prende gioco delle piccole ipocrisie, meschinità e vanaglorie tipiche della borghesia francese del suo tempo, senza però mai porsi al di sopra di tali piccolezze, e anzi trasmettendo al lettore una sorta di affetto per i suoi personaggi strampalati e animati da puerilità, egoismi e megalomanie che in fondo, più o meno abilmente celati, appartengono anche a ciascuno di noi.
Abbiamo intervistato Carlo Mazza Galanti, curatore e traduttore di “Martin il romanziere”, che ha selezionato i racconti contenuti nell’antologia pubblicata dalL’orma e firmato la prefazione:
Chi era Marcel Aymé?
Aymé è stato uno scrittore molto prolifico e popolare in Francia tra gli anni ’30 e ’60, ha scritto una ventina di romanzi, decine di racconti, alcuni saggi, poesie, è stato anche uno sceneggiatore molto apprezzato da registi di polizieschi e noir come Louis Daquin e Pierre Chanois.
Aymé si muoveva tra i generi, è sempre stato una figura a metà tra lo scrittore pop, diremmo oggi, e lo scrittore impegnato e sperimentale. Inoltre è stato un grande umorista, forse uno dei maggiori del secolo scorso e infatti Attilio Bertolucci l’ha inserito nella sua antologia di umoristi del novecento accanto a scrittori come Gadda, Campanile, Apollinaire, Hašek.Diversi film sono stati tratti da suoi romanzi e racconti ma soprattutto veniva ingaggiato come dialoghista. Era bravissimo a fare i dialoghi, nel cinema, nel teatro, nella letteratura.
Però in Italia oggi è poco conosciuto.
Sì, a parte certi racconti per l’infanzia, per questo ho proposto alL’orma editore di fare un libro che raccogliesse alcuni dei racconti più interessanti. I racconti di Aymé sono stupendi e a parte una raccolta ormai introvabile pubblicata dalla Biblioteca del Vascello anni fa, la maggior parte non sono mai stati tradotti. AlL’orma lavorano benissimo sulla letteratura Francese e mi sembravano i migliori per valorizzare un autore importante ma semi dimenticato.
Con che criterio hai selezionato i racconti?
In tutti i racconti che ho scelto sono presenti elementi fantastici. Aymé ha frequentato anche altri generi nella sua narrativa breve ma il suo stile fantastico mi sembra particolarmente attuale, capace di intercettare i gusti contemporanei: certe cose sembrano quasi fantapolitica, o fantascienza sociologica. Inoltre a differenza di molti autori francesi dell’epoca e non solo, che vengono spesso percepiti come autori “difficili” Aymé ha un freschezza, un’immediatezza che non è minimamente sminuita dal passare dei decenni e che nei racconti si dà più ancora che nei romanzi. Immagina un Simenon umoristico-fantastico.
E lo faceva con una facilità, un’abilità tecnica e un’inventiva abbastanza unici. Ci sono alcuni scrittori fantastici francesi che oggi considerano Aymé un modello.Aymé si è sempre mosso un po’ a margine dei cenacoli importanti ma non di certo per scelta o snobismo o antisnobismo, era un tipo discreto, basta aprire una sua pagina a caso per capire che voleva solo scrivere.
Di cosa parlano le sue storie?
Parlano di gente comune, impiegatini alla Gogol ma anche artisti pretenziosi e personaggi boriosi. C’è un campionario sociale davvero vario. E poi politica, sesso, religione, miracoli. Nella raccolta delL’orma ci sono donne che ottengono il dono dell’ubiquità e ne approfittano per spassarsela all’insaputa del marito. Ci sono leggi di stato che implicano cambiamenti radicali come la diminuzione del tempo di vita per i soggetti improduttivi o il dimezzamento dell’età di tutti i cittadini francesi. Il racconto del titolo sembra un pezzo di John Barth: uno scrittore a un certo punto si trova a tu per tu con un suo personaggio che reclama un trattamento diverso. C’è anche un pluriomicida in preda a un specie di trance che deambula per Parigi convinto di essere rimasto senz’anima. Cose così, tra la vignetta di costume e Ai confini della realtà.
Che tipo di scelte hanno guidato la traduzione?
La lingua di Aymé, come dicevo, non è stilisticamente molto complessa. La cosa più difficile è stata rendere quella velocità e quell’immediatezza di lettura che fanno sì che quando cominci un racconto poi non riesci a staccarti e quando lo hai finito hai subito voglia di leggerne un altro. Di conseguenza ho cercato semplicemente di trasportare questa immediatezza in una lingua non solo diversa ma anche di mezzo secolo dopo. Non ho cercato di “anticare” troppo pur di restare fedele a qualche espressione un po’ desueta presente nel testo, perché non volevo dare al lettore l’impressione di leggere qualcosa di vecchio.
Volevo che la lama della satira di Aymé apparisse affilata come effettivamente è.
A un italiano che legge per la prima volta Marcel Aymé non può non venire in mente Italo Calvino, per l’equilibrio tra fantastico e realistico nelle storie raccontate, per l’attenzione e l’esattezza dello stile narrativo. Calvino era vent’anni più giovane di Aymé, pensi che ne sia stato influenzato?
Calvino si è trasferito a Parigi nel 1967 quindi l’anno in cui Aymé è morto, non credo si siano conosciuti, ma mi stupirebbe se Calvino non l’avesse già letto prima di trasferirsi. È vero, ci sono degli elementi simili. Penso a certe cose più umoristiche di Calvino come Marcovaldo o a racconti come quelli de Gli amori difficili dove prende di mira vizi e angosce della borghesia, tra l’altro muovendosi su un registro molto vicino al fantastico e al perturbante come faceva Aymé.
Inoltre a Parigi Calvino si avvicina all’Oulipo, è amico di Queneau e Queneau era certamente un lettore di Aymé. Insomma c’è aria di famiglia.Calvino tendeva a semplificare la lingua per lasciare libero gioco all’immaginazione e all’intelligenza narrativa, e anche in questo era simile a Aymé.
Carlo Mazza Galanti è critico letterario e traduttore. È autore di saggi di letteratura comparata e di una monografia su Michele Mari. Nel 2019 ha publicato per minimum fax Scuola di demoni. Scrive di libri e argomenti culturali per diverse riviste tra cui “IL”, "Nuovi Argomenti”, “Linus”, “minima&moralia”, “Pagina 99”.