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Domenico Morelli: Le tentazioni di Sant'Antonio
Ottocento alla GNAMC di Roma
Morelli fu un artista prolifico e molto versatile, da uomo libero nel periodo postunitario fu impegnato per l’ammodernamento di istituzioni artistiche stantie: ripensò il concetto di museo e riformò l’Accademia di Belle Arti. Con il collega Filippo Palizzi (1818-1899), partecipò alla fondazione della “Società Promotrice di Belle Arti” (1862), una libera associazione che, attraverso esposizioni annuali, intendeva dare sostegno a giovani artisti esclusi da un mercato che stava radicalmente cambiando le regole.L’opera appartiene alla maturità dell’artista, gli anni in cui era un riconosciuto protagonista del rinnovamento della pittura del secondo Ottocento italiano, nonché, un importante esponente della società civile e culturale del Meridione
E ancora, fu consulente di Casa Reale per l’acquisto di arte moderna e nella strada verso il successo, riescì a rapportarsi con la nuova realtà ottocentesca del collezionismo privato, italiano e straniero. A Napoli, intercettava i nuovi collezionisti della borghesia partenopea, a partire dai Maglione-Oneto, ai fratelli Paolo e Beniamino Rotondo, fino all’imprenditore e amatore Giovanni Vonwiller (1821-1898), generoso sostenitore di Morelli, fin dai tempi della giovinezza. Anche Vonwiller lo impiegò come consulente per la sua collezione, la prima a Napoli e in Italia per qualità e completezza. Aperta al pubblico, questa vetrina del moderno annoverava ben diciotto tele di Morelli (La barca della vita, I profughi di Aquileia, Il conte di Lara, Torquato Tasso legge la Gerusalemme liberata a Eleonora d’Este, Cristo deposto), oggi in buona parte conservate alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
Dapprima, visita le maggiori culle dell’arte italiana, Roma, Firenze, Milano e Venezia e nel 1855, anno di importanti riconoscimenti e successi, in compagnia del mercante di stampe Giuseppe Tipaldi, Morelli intraprende un viaggio d’istruzione attraverso le capitali europee dell’arte: Friburgo, Monaco, Berlino, Dresda, Bruxelles, Londra e infine Parigi.Da un punto di vista stilistico e poetico, Morelli si confrontò con i grandi maestri italiani e stranieri a lui contemporanei, seguendo un complesso itinerario pittorico maturato in ripetuti viaggi di studio e approfondimento
La sua produzione, fin degli anni di formazione, prendeva spunto da fonti letterarie scelte: dai classici, in voga nel Romanticismo, quali Dante, Tasso e Shakespeare, all’attualità de “I promessi sposi di Manzoni”, le poesie di Leopardi, i temi romantici e le suggestioni degli scritti di Scott e Byron.
Le fonti storiche, invece, Morelli le discutesse e vagliò, nella cosidetta fase di "verismo storico", con l’amico conterraneo Pasquale Villari (1827-1917), con il quale instaurò un sodalizio intellettuale duraturo e proficuo, una frequentazione suggellata anche dal matrimonio dell’artista con la sorella. Villari, storico e filosofo liberale allievo di De Sanctis, nonché futuro politico negli anni postunitari, lo aveva conosciuto negli anni Quaranta dell’Ottocento e da allora, per Morelli divenne il mentore della genesi di molte sue opere di soggetto “storico”. Fu proprio grazie a questa frequentazione che Morelli sostituirà i grandi eroi del Romanticismo con personaggi e fatti di “storia civile” di ispirazione mazziniana e di valori corali di popolo riecheggianti il Risorgimento italiano, in un confronto diretto con le proposte contemporanee di Francesco Hayez (1791-1882).
Durante gli anni dell’Accademia il giovane artista sostiene lo stile romantico e “purista”, ispirato al Medioevo e al Rinascimento, memore dei pittori Nazareni visti a Roma nel 1848 (I Nazareni a Roma), assieme alle antichità, fino ad allora fruite su riproduzioni. In questi anni, Morelli adotta un disegno lineare a chiaro che ritroviamo in molte tele di soggetto storico elaborate in maniera complessa su diverse fonti.Per capire l’iter complesso di questo importante artista, vale la pena soffermarsi su alcune opere emblematiche della sua travagliata produzione
“Cesare Borgia a Capua”, ispirato alla “Storia d’Italia” di Guicciardini, fu concepito a seguito di un fitto carteggio con Villari; il dipinto documenta un massacro ambientato nel Rinascimento, compiuto dal figlio di papa Alessandro VI che, per conquistare il Regno di Napoli sterminò una popolazione inerme.
Negli anni Cinquanta, Morelli partecipa alla rinnovata concezione moderna della “pittura di storia”, rivisitata attraverso quella francese del romantico Théodore Chassériau (1819–1856) e Jean-Léon Gérôme (1824–1904), uno dei pittori accademici più celebri di Francia. Con precisione documentale, Morelli evolve il suo stile giungendo a un “Verismo storico” di rappresentazione attento al quotidiano delle cose, nonché alle miserie, le ingiustizie e le sofferenze umane.Il messaggio simbolico evocava i motti liberali napoletani del ‘48 che avevano coinvolto, in prima linea, Morelli e Villari al pari del popolo capuano indomito nella difensa della propria terra e dei valori morali e civili
All’Esposizione Universale di Parigi e a quella borbonica del 1855, Morelli presentava “Gli iconoclasti” (1855); l’opera decretò il successo dell’artista a livello nazionale tanto da essere ancora acclamato all’Esposizione di Firenze del 1861.Come affermava l’artista, da originale interprete di soggetti letterari e storici, voleva “rappresentar figure e cose non viste, ma vere ed immaginate all’un tempo”
A partire dall'Unità d'Italia, con questa tela Morelli cresce il suo ruolo di protagonista e diventa una figura di riferimento per istituzioni pubbliche, artisti, collezionisti e mecenati italiani. Morelli concepisce un’ambientazione medioevale-bizantina dei sotterranei della chiesa di "San Giovanni" a Costantinopoli, una scena dell’Ottavo secolo, ben curata fin nei minimi dettagli di rigore antiquario, tanto che è costretto a tornare a Roma per ricerche. Tra le figure in primo piano, l'amico Pellegrino Tipaldi fa da modello per il monaco pittore San Lazzaro condannato da Teofilo al taglio della mano per essere stato sorpreso a creare immagini sacre. La drammaticità del momento è esaltata da un inedito colore, forte nei contrasti,
tanto da essere stato paragonato, all'epoca, a un mosaico bizantino; da fonti certe, sappiamo che la cromia fu "irrobustita" da un ultimo tocco alla tavolozza dato dal collega Filippo Palizzi, autore anche del brano di natura morta posto in basso a sinistra.
La “persecuzione delle immagini”, tema suggerito da Villari all’amico fraterno, denunciava la censura contemporanea dei Borbone e promuoveva la libertà dell’artista di esprimere i propri valori patriottici e di appartenenza, anche all'antica tradizione del cristinesimo di epoca bizantina. Per questo, “Gli iconoclasti” divenne ben presto l’opera manifesto delle nuove tendenze del “verismo storico” che riuniva in sé i valori risorgimentali sottolineando la necessità di libertà civili e autonomia dell'arte.Lazzaro consegna rassegnato la mano, i pennelli sono riversi sugli scalini sbrecciati, l’icona al suolo è stata dissacrata e violentemente trafitta
Sintesi dell’approfondimento della coeva pittura francese, ma soprattutto del naturalismo palizziano, l'opera è da considerasi un'icona della pittura di storia dell'eta moderna.
Morelli intrattenne anche una particolare amicizia con il compositore Giuseppe Verdi (1813-1901), conosciuto a Napoli nel 1845 e dagli anni Settanta, consulente per l’artista su soggetti teatrali e personaggi shakespeariani. Il rapporto di reciproca stima diede vita ad un “Ritratto” iconico del musicista, finito nel 1858 e incorniciato da una corona d’alloro dipinta da Filippo Palizzi. Il legame ossequioso con il compositore, inoltre, indirizzò l’artista verso filoni tematici legati al teatro del tempo: ne sono esempio “I Vespri siciliani” (1859-1860), o la “Cacciata dei saraceni” ideato per il sipario del Teatro Verdi di Salerno, poi tradotta in dipinto.All’Esposizione borbonica, la tela destava l’ammirazione di Ferdinando II che tuttavia, avendovene ben compreso il significato politico, ammoniva personalmente Morelli
Verdi desiderava intensamente possedere un'opera del pittore e a partire dal 1873, la chiese insistentemente. Per giustificare il ritardo di anni, Morelli inviò al compositore una tela nata da una tormentata elaborazione, un nuovo soggetto evangelico: “Gli Ossessi”.
Negli anni Settanta, Morelli affianca alla produzione di tematiche religiose le suggestioni per l’Oriente, una terra che l'artista non ha mai visto, ma che trova sostegno in moltissime fonti letterarie come il “Vangelo”, il “Corano”, la biografia di Maometto scritta da Washington Irving, i racconti di viaggio e soprattutto, una speciale documentazione fotografica della Palestina ottenuta grazie allo stretto rapporto d’amicizia con il pittore inglese Lawrence Alma Tadema (1836-1912).È un luogo solitario, una valle deserta, arida, dove sono le grotte sepolcrali in cui vivevano quegli infelici, cacciati, fuggiti dagli uomini. Gesù di passaggio per quei luoghi, si mischia a quegli sventurati e li consola
Domenico Morelli, 1876
Le suggestioni per l’Oriente trovano un altro punto saldo nell’amicizia di Morelli con il pittore spagnolo Mariano Fortuny (1838–1874), suo estimatore che soggiornò a Napoli e a Roma, dove morì. Vicino allo spagnolo, Morelli compie una significativa svolta stilistica e uscendo dall’oramai ripetitivo “verismo storico”, filtra la lezione dello spagnolo ed elabora in maniera del tutto personale le raffinatezze orientali, certi motivi decorativi giapponesi, ma soprattutto le cromie. Fortuny, infatti, aveva introdotto fra i pittori napoletani i primi colori artificiali, tinture chiare e fredde apprese dalle stampe giapponesi di Hokusai che in Francia stavano già negli occhi degli Impressionisti. Il maestro spagnolo, inoltre, era stato inviato di guerra in Marocco e in Italia, aveva studiato l’antichità romana e la scuola colorista dei pittori veneziani, mentre portava dentro di sé la tradizione materica della pittura di Ribera, Velazquez e Goya.L’Oriente per me è come un rifugio dalla persecuzione del calcolo che ci circonda
Domenico Morelli
L’incontro con Fortuny, porterà Morelli a rivedere la sua tradizionale tavolozza sordida di tradizione naturalistica sei-settecentesca e a ripensare una materia pittorica più densa, nonché un colore usato a tratti puro, reso con biacca per accendere bagliori di luce vibrante.
Le nuove gamme cromatiche stese in pennellate più sciolte tornano nelle rappresentazioni del popolo arabo e cristiano che affolla le sue tele degli anni Settanta: Maometto, Gesù e tutta una serie di belle donne orientali che seducono l’artista, da l’Odalisca, alla Maddalena, fino alla Vergine stessa.Questa novità restituisce nelle opere mature dell’artista napoletano atmosfere d’incanto e di suggestione Simbolista
Per tanto compiacimento, Morelli verrà accusato dai pittori toscani, nella figura di Adriano Cecioni (1836-1886), di aver ceduto a una “arte di moda”, una polemica che in quegli anni sfocerà in un vero e proprio dibattito sul ruolo dell’artista e sulla sua identità, dopo la fine della grande committenza ecclesiastica e la nascita del nuovo Stato unitario.
“Le Tentazioni di Sant’Antonio” si colloca nella stagione orientalista di Morelli. La lunga ed estenuante gestazione del dipinto torna in schizzi e disegni, nonché in una prima redazione di dimensioni minori, dove il Santo appare in piedi contro la roccia.Morelli è uno dei protagonisti di quest’epoca di passaggio e lo è in modo singolare proprio perché il suo impegno nelle istituzioni artistiche pubbliche del tempo sarà concreto
Come fa notare Stefani, il dipinto era stato molto atteso dal suo mercante parigino di fiducia Adolphe Goupil, con il quale Morelli collaborava dal 1855 e grazie al quale, la sua opera era entrata nel mercato internazionale contribuendo alla fama e al successo dell’artista.
Esposto nel 1878 a Parigi, “Le tentazioni” di Morelli furono totalmente incomprese dal pubblico dei Salon parigini e dallo stesso Goupil, tanto che segnò il fallimento del rapporto con il mercante francese. Nel 1880, la tela passava alla Galleria Pisani di Firenze, dove rimaneva fino al 1914, quando entrava a far parte delle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Ancora una volta, in occasione delle Esposizioni Nazionali di Napoli del 1877 e di Torino del 1880, il toscano Cecioni riferendosi al passaggio di mano della tela fra galleristi, definisce malevolmente “Le tentazioni”.
L’opera è senza dubbio particolare: la novità iconografica del tema, probabilmente desunto dal romanzo omonimo di Gustav Flaubert del 1845, la nuova tavolozza di ocra e bianchi e il trattamento materico della pittura. Ma a provocare la critica del tempo fu la nuova commistione di realismo e simbolismo che l’artista napoletano amalgamava con grandissima maestria.Un infelicissimo parto della pittura rimasto sullo stomaco dei negozianti”
Dall’ammiccamento dei volti femminili, al biancore delle nudità che emergono dalla stuoia, fino alla “tentazione uditiva”, più sottilmente accennata nella bocca di una donna pietrificata che sussurra all’orecchio dell’uomo.Il Santo rannicchiato appare in preda ad un’allucinazione mistica dalle molteplici “tentazioni femminili” smaccatamente erotiche e voluttuose
Solo Villari coglieva l’intento di Morelli scrivendo che la verità del Santo tentato da passioni che accendono la fantasia si fa reale nel corpo contratto che cerca di liberarsi dalla materia e dalla carne per entrare nel suo mondo mistico e poetico.
Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, la sua pittura assunse tinte sempre più simboliche e spirituali, con tonalità evanescenti. Le figure mistiche di angeli eterei, si coniuga a un’ulteriore evoluzione della resa formale, ora affrancata anche dal frequente uso dell’acquerello che accompagnerà il progressivo sfaldamento della materia pittorica, sempre più diafana e rarefatta.Alla classica iconografia medioevale di diavoli e serpenti, Morelli contrappone un’interpretazione “vera”, fatta di contraddizioni reali
Agli ultimi due decenni del secolo risale un’ulteriore attenta documentazione su fonti bibliche e testi sacri per dei disegni che costituiscono il ciclo neobizantino per la facciata del duomo di Amalfi (1884-1890).
A questo, si aggiunge un progetto editoriale di cifra Art Nouveau per la “Bibbia di Amsterdam” (1895-1899), una serie di cento illustrazioni per un volume a più mani, di grande formato, da pubblicare a dispense. Morelli traduce la verità biblica in un linguaggio pienamente Simbolista: l’ormai anziano artista napoletano si confronta con i grandi Burne-Jones, Constant, Puvis De Chavannes, Liebermann, De Vriendt, Villegas, Répin, Abbey e Swan. L’ambiziosa impresa, coordinata da Carel Dake, che lo aveva contattato tramite Alma Tadema, coinvolgeva ventisei artisti, fra europei, americani e russi, assieme agli italiani scelti tra i premiati della prima Biennale Internazionale di Venezia (1895): Giovanni Segantini, Francesco Paolo Michetti e Morelli che aveva presentato il “Cristo con gli angeli nel deserto” (Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma; 1895). I disegni degli artisti furono tradotti in incisioni dall’editrice parigina Lemercier ed esposti a Londra nel 1901. Nello stesso anno, furono messe sul mercato le prime edizioni della Bibbia, ma Morelli non riuscì a vedere l’esemplare che gli era stato inviato.
La malattia al cuore, di cui soffriva già da tempo, si aggravò ulteriormente e morì a Napoli il 13 agosto di quell’anno.
FOTO DI COPERTINA
Domenico Morelli, Le tentazioni di Sant’Antonio, 1878, olio su tela, 137×225cm., Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea (GNAMC), Roma