Chronorama. Tesori fotografici del 20° secolo
Una mostra a Palazzo Grassi di Venezia
12-Mar-2023 > 07-Gen-2024
La monumentale mostra allestita a Palazzo Grassi di Venezia, “Chronorama. Tesori fotografici del 20° secolo”, documenta, a partire dagli anni Dieci del Novecento, fino ai Settanta, il mutamento estetico della fotografia.
La mostra, nata da una recente acquisizione degli archivi fotografici “Condé Nast” da parte della Pinault Collection, è curata dal francese Matthieu Humery che ha selezionato ben 407 opere di 185 autori diversi per sondare il medium moderno oggetto di interesse per intere generazioni.
Questa rivoluzione lenta, ma inesorabile, mette in primo la bicromia bianco e nero, considerato di gran lunga molto meno attraente dell’immagine a colori.Suddivisa in decadi, la mostra focalizza un cambiamento tecnico basilare che stravolgerà la storia di tutta l’editoria: il passaggio dall’illustrazione all’uso della riproduzione fotografica
L’uso della fotografia nei periodici, era già in voga dal 1886, ossia da quando il perfezionamento della cosiddetta “retinatura” consentiva la riproduzione delle foto nella stessa pagina dei testi. Ma solo attorno alla metà del primo decennio del Novecento, si affiancherà all’immagine documentaristica ordinaria fotografie più suggestive, come gli scatti di Adolf De Meyer o Maurice Goldberg.
Adolf De Meyer, Giovane ragazza seduta in un tavolo accanto a un mappamondo, 1919, Vogue © Condé Nast
L’evoluzione del senso estetico, foto dopo foto, emerge spesso in piccoli dettagli, dove sono contenute le grandi rivoluzioni che hanno influenzato il gusto delle società e mutato il decorso della moda, dell’arte visiva, dell’architettura e del design. Tutte discipline che cambiarono veste anche grazie al mezzo con cui venivano documentate.
Le foto scelte ed esposte in mostra, sono state intenzionalmente disgiunte dal loro contesto editoriale originario per evidenziare così la “pura” valenza artistica, svincolata dalla servile documentazione e a favore della visionarietà dell’autore, della sua libertà di colpire l’immaginario di un’epoca.La fotografia diventa così una forma d’arte a pieno titolo
Un esempio, le foto degli anni Venti e Trenta, in un ventennio compresso tra ruggenti follie di entusiasmo e vertiginosi crolli, non solo economici ma anche democratici. Fotografi come George Hoyningen-Huene, Edward Steichen, Maurice Goldberg, Robert Mallet-Steven o Horst, iniziano ad osservare ed interpretare l’identità iridescente della cafè society, ma soprattutto, cominciano a sperimentare le tecniche avanguardistiche. Hoyningen-Huene frequentava Man Ray e Jean Cocteau, Steichen era fortemente attratto dall’estetica surrealista e Horst, formato nella Parigi di Le Corbusier, guarda alle linee geometriche della Bauhaus.
Gli anni Quaranta sono caratterizzati dai reportage di guerra di Cecil Beaton e Robert Doisneau, nonché dell’incredibile attivismo di Lee Miller, prima musa di Man Ray, poi tenace testimone di momenti importanti come lo sbarco in Normandia, l’assedio di Saint-Malo, la liberazione di Parigi per giungere, tra i primi fotografi, nei campi di sterminio di Bunchenwald e Dachau.Il conflitto mondiale segna indissolubilmente un cambio di rotta
Dal 1945, la moda ricomincia a fiorire soprattutto in area parigina con le maison Balmain o Christian Dior. Inevitabilmente, nasce una nuova ricerca identitaria tradotta magistralmente dall’americano Irving Penn, che diventerà uno degli artefici maggiori dei portrait iper-contrastati di Marlene Dietrich, Luchino Visconti, Salvador Dalì, Marcel Duchamp, Marcello Mastroianni e molti altri.
Nell’America del dopoguerra, e non solo, iniziano i primi sintomi di emancipazione femminile, la moda diviene più libera e sportiva, in linea con il concetto di donna indipendente e lavoratrice; queste immagini rompono nettamente con le impalpabili Ofelie danzanti degli anni precedenti.
Bert Stern, Twiggy indossa un miniabito di Louis Féraud e scarpe in pelle di François Villon, 1967, Vogue © Condé Nast
Oltre allo scatto patinato, il nuovo pubblico dell’epoca “liberale” richiedeva un contrappunto imperfetto, che potesse sottolineare uno status di rinnovata normalità, naturalezza e conformismo. Saranno questi, infatti, i principali modelli collettivi degli scatti anni Cinquanta e Sessanta, quelli del boom economico, sancito in mostra da autori come Diane e Allan Arbus, Clifford Coffin, Evelyn Hofer, Frances McLaughlin-Fill, Lionel Kazan e Weegee (al secolo Arthur Fellig) che, notoriamente avverso all’establishment dell’epoca, incarnava lo spirito blasfemo.
Gli anni Sessanta sono quelli della Beat Generation, contro il perbenismo borghese e in generale, di ogni forma autoritaria. Si diffonde, l’irrequietezza rivoluzionaria per mezzo di canzoni, pagine di scrittori e poeti, film e opere di artisti. Alle pareti di Palazzo Grassi compaiono i Beatles di Peter Laurie, Mick Jagger, David Bailey, Jean-Luc Godard, nonché gli interni dell’astronave di “2001: Odissea nello spazio” di Kubrick, scattati da William Klein, Leonard Cohen e Jack Robinson. E ancora, Lucio Fontana di Ugo Mulas è fotografato intento a ferire una tela, l’attivista politica Susan Sontag e Federico Fellini, sono glorificati dall’implacabile obiettivo di Irving Penn.
Il viaggio attraverso le vitalità culturali del XX secolo finisce con gli anni Settanta e la progressiva razionalizzazione dei tumulti sessantottini, in nome di “concettualismi” e “minimalismi” che approderanno, in una tensione continua, verso l’edonismo anni Ottanta.
A corollario della mostra storica, una sezione dal titolo “ChronoramaRedux” tratta la contemporaneità con opere di quattro giovani artisti nati tra il 1979 e il 1996: Giulia Andreani, Tarrah Krajnak, Eric N. Mack e l’ucraino Daniel Spivakov. Sollecitati a uno studio approfondito della raccolta esposta, i giovani propongono un ”redux”, ossia una personale riedizione attraverso quattro site-specific dislocate in differenti aree dell’edificio.
CHRONORAMA Tesori fotografici del 20° secolo
Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Venezia
12.03.2023 – 07.01.2024
GALLERY
La fotografia di “Vogue” e “Vanity Fair”
Sette decenni di scatti dall’archivio Condé Nast
FOTO DI COPERTINA
Cecil Beaton, Marlene Dietrich, 1932, Vanity Fair © Condé Nast