Le avanguardie radicali e la nuova cultura del progetto

I nuovi principi del design primario o soft

Nell’ambito delle contestazioni sociali dei primi anni Settanta, nasce e si rafforza anche una critica alla società dei consumi e del benessere. Il design, come sempre in Italia, risponde con nuovi contenuti. Si formano gruppi che contestano alle radici la natura socialdemocratica del progetto moderno. A Firenze con Archizoom, UfoSuperstudio; a Milano con Gaetano Pesce, Ettore Sottsass, Ugo La PietraAlessandro Mendini; a Napoli con Riccardo Dalisi, si discute sulla possibile revisione radicale delle convinzioni razionaliste e funzionaliste che hanno fino ad allora caratterizzato il design italiano.
Preannunciata a partire dal 1969 da alcune mostre, rappresentata per qualche anno dalla rivista Casabella allora diretta da Alessandro Mendini, e culminata con la mostra del 1972 al MoMA di New York, l’esistenza dell’avanguardia radicale ha la sua consacrazione ufficiale con la formazione nel 1974 del supergruppo Global Tools, Strumenti globali.
L’esperienza di questi gruppi, sintetizzata nello storico volume Architettura radicale, sarà sempre fortemente criticata e osteggiata dal vecchio establishment dell’architettura e del design che vedeva in essi una pericolosa critica al sistema. L’avanguardia radicale, confluita progressivamente in una pratica critica più moderata, trova paradossalmente una sua realizzazione nella successiva produzione di serie in un concetto nuovo e fondamentale, quello di design primario o soft, ovvero la progettazione delle qualità più trascurate del prodotto industriale, come il colore, le finiture superficiali, le sensazioni tattili e in generale certe qualità estetiche non misurabili.
In una puntata di Lezioni di Design, Andrea Branzi, protagonista del movimento, racconta l’esperienza di questi anni. Con una testimonianza di Dino Gavina, produttore di mobili, che spiega come è riuscito a coniugare opere d’arte e oggetti di produzione seriale, portando l’arte nelle case di tutti.

Non è vero che il movimento era anti-industriale, anzi, ha posto le premsse per uno sviluppo post industriale.
Andrea Branzi