La burla della false statue di Modigliani

Come manovrare la comunicazione mediatica

Fu una beffa colossale di risonanza mondiale: nella calda estate del 1984 sono state ritrovate tre sculture in un canale a Livorno,  gli esperti e i critici d’arte, da Giulio Carlo Argan a Cesare Brandi, sono tutti unanimi nell'attribuire la paternità di queste opere allo scultore Amedeo Modigliani.
Livorno, città natale dell’artista, in quel periodo commemora l’attività di scultore di Modigliani in occasione del centenario della nascita. Al museo d’arte moderna di Villa Maria sono in mostra 4 delle 26 teste di Modigliani e la direttrice del museo e curatrice della mostra, Vera Durbé con la collaborazione del fratello Dario, sovrintendente alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, decide di accreditare una vecchia leggenda: Modigliani avrebbe gettato nei fossi livornesi quattro sculture perché da lui stesso ritenute insoddisfacenti. Inizia quindi la dragatura dei canali, un’operazione con grande risonanza mediatica.
Tre studenti universitari livornesi Michele Ghelarducci, Pietro Luridiana e Pierfrancesceo Ferrucci sono in vena di scherzi e decidono di scolpire una testa  con tratti duri e lunghi tipici di Modigliani e di gettarla nei fossi. Più tardi diranno: "Visto che non trovavano niente, abbiamo deciso noi di fargli trovare qualcosa!”.
La scavatrice, finanziata dal comune di Livorno, per sette giorni ha perlustrato i fossi senza risultati. L’ottavo giorno accadde il miracolo: sotto i riflettori delle troupe televisive le ruspe agguantano la testa.
Per quaranta giorni l’altezzoso mondo dell’arte grida al capolavoro. Poi i falsari decidono di confessare tutto in un’intervista a Panorama e il settimanale pubblica alcune foto scattate dei tre studenti in un giardino nel momento stesso in cui compiono l’opera.
I falsari vengono invitati in televisione, durante la prima serata, per eseguire un’altra scultura. Ecco quindi, a voi, dalle preziose TECHE RAI, un estratto di Speciale TG1: la burla di Livorno condotto dal giornalista La Volpe nel 1984.

Per dovere di  cronaca:
Alcuni giorni dopo il primo ritrovamento, altre due teste sono ritrovate nei fossi. Si scopre in seguito che sono opere di un altro livornese, Angelo Froglia, scultore e pittore. Spiega che il suo intento fu di ”evidenziare come attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le convinzioni della gente. Inoltre io sono un artista, mi muovo nei canali dell’arte, volevo suscitare un dibattito sui modi dell’arte e questo mi è riuscito in pieno. La mia è stata un’operazione concettuale, se volete in un certo senso è stata anche un’opera d’arte, come quella di Christo che impacchetta i monumenti, ma non avevo alcun intento polemico contro l’amministrazione, né contro la città, né contro i critici d’arte come singoli. Volevo semplicemente far sapere come nel mondo dell’arte l’effetto dei mass media e dei cosiddetti esperti possa portare a prendere grossissimi granchi”.