Domon Ken

Il Maestro del Realismo Giapponese

Per la prima volta fuori i confini del Giappone le fotografie di Domon Ken, considerato un maestro assoluto nel suo paese natale.
La mostra Domon Ken. Il maestro del realismo giapponese al Museo dell'Ara Pacis a Roma è a cura di Rossella Menegazzo, docente di Storia dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano e Takeshi Fujimori, direttore artistico del Domon Ken Museum of Photography.
La mostra presenta una rassegna di tutta la carriera del fotografo, attraverso 150 scatti selezionati fra i progetti e le pubblicazioni editoriali più significative fra quelle realizzate negli anni. Suddivisa in diversi percorsi tematici, l’esposizione mostra al pubblico le stampe dei reportage realizzati da Domon Ken da prima della Seconda Guerra Mondiale, fino alle testimonianze dei sopravvissuti di Hiroshima.
Dopo un esordio da fotografo a soli 24 anni, nel 1933, Domon Ken entra a far parte del prestigioso Studio Nippon Kōbō di Ginza. I suoi primi servizi sono condizionati dalle pressioni del governo, che li subordina alle proprie esigenze propagandistiche. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Domon Ken si allontana dalla scena pubblica e si dedica alle arti, come quella del teatro dei burattini giapponesi, e alle architetture religiose dei templi. Dalla fine degli anni ’40, però, torna con prepotenza a realizzare reportage a carattere sociale, dedicandosi alla documentazione dell’occidentalizzazione delle mode, delle condizioni di miseria delle fasce più povere di Tokyo e dei villaggi di minatori a sud del Giappone, ripresi attraverso la vita dei bambini, per culminare con le testimonianze dei sopravvissuti alla tragica esplosione della bomba atomica di Hiroshima.
Un capitolo a parte, poi, è il suo interesse verso gli antichi templi giapponesi, visitati e fotografati da Domon Ken a partire dal 1939 e fino a tutti gli anni ’70. Le immagini dei suoi pellegrinaggi ai templi da un lato documentano le bellezze architettoniche e paesaggistiche di questi luoghi, da un altro l’evoluzione del mezzo fotografico.
Tutto il suo lavoro mantiene sempre alcuni caratteri autobiografici, pur avendo lui deciso fermamente di realizzare delle immagini documentaristiche che non si abbandonassero a giudizi o a sentimenti di compassione. Eppure la morte della sua secondogenita nel 1946 lo spinge a fotografare maggiormente i bambini, un’emorragia cerebrale nel 1959 lo costringe all’uso del treppiede e una seconda emorragia nel 1968 lo lascia sulla sedia a rotelle, causando un deciso cambiamento stilistico dovuto all’abbassamento del punto di vista delle sue immagini.