Giacomo Balla, dal primo autoritratto alle ultime rose

Una mostra a Roma

È Giacomo Balla, punto cardinale dell’arte del ‘900, il protagonista della mostra “Giacomo Balla. Dal primo Autoritratto alle Ultime rose” presso la Galleria Russo di Roma fino al 22 maggio.
Curata da Fabio Benzi, la mostra ci da l’occasione di ripercorrere l’intera carriera dell’artista attraverso una sorprendente galleria di studi preparatori – talvolta inediti - accompagnata da alcuni importanti dipinti. A questi materiali, per lo più direttamente provenienti da Casa Balla e sinora rimasti presso gli eredi, la mostra affida il compito di condurre il visitatore al cuore degli intricati percorsi creativi del grande maestro e caposcuola, affiancando incunaboli giovanili, illuminanti bozzetti di capolavori noti e ultime opere. “È come entrare nello studio dell’artista – scrive Fabio Benzi nell’introduzione in catalogo – e aprire decine di cassetti scoprendo la genesi di capolavori e opere di studio, penetrando nei segreti nascosti dei dipinti a volte più celebri, a volte più privati, ma sempre partecipando di un furor creativo indiscutibile e prepotente, che ci mostra fasi finali e iniziali di un percorso unitario, di un rovello instancabile”. 


Giacomo Balla “Ball’Io”, 1940. Pastello su carta incollata su cartone, 450 x 330 mm. Iscritto, firmato e datato. Sul retro: 
Se mi guardo nello specchio / m'assomiglio / se mi guardo nell'interno / non m'assomiglio / Balla / an. 1940 / Sbagliatissime / queste affermazioni / A. 1943 / A mia figlia / Elica Balla



E’ un romanzo per immagini - circa ottanta le opere in mostra – che nello spazio di poche sale racconta un percorso di cinquant’anni, con un incipit folgorante nel primo autoritratto conosciuto di Giacomo Balla (1894), un piccolo olio di eccezionale importanza storica che si segnala per la trovata di utilizzare come supporto il retro di un ritratto fotografico dell’artista bambino, con il risultato di un inaspettato gioco di specchi tra i due versi del dipinto. Il tema dell’autorappresentazione, cruciale nel catalogo delle opere di Balla, ritorna in Ball’io, pastello del ’40, (qui sopra, e nell’immagine di copertina un particolare) sempre rimasto nell’appartamento di via Oslavia, a cui in famiglia ci si riferiva scherzosamente come al ritratto del Professor Piccard, sembra per via dei capelli grigi arruffati che molto ricordavano la capigliatura del famoso scienziato, impegnato in quel tempo, come ricorda Elica Balla, nell’esplorazione dei “fondi marini con la sua batisfera”.
  


Giacomo Balla "S’è rotto l’incanto" ,1920-1921.  Olio su tela, 106,5x76,5 cm

“Lo stato di un’anima che ha un’illusione che a un tratto si rompe” così Filippo Marinetti descrive S’è rotto l’incanto, un grande olio su tela esposto per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1926, ma verosimilmente realizzato tra il 1920 e il 1921, anni in cui Balla può oramai fregiarsi del titolo di indiscusso caposcuola della compagine futurista. In quella straordinaria invenzione cromatica di variazioni sul rosa va visto il momento più alto di una nuova ricerca del suo instancabile artefice, questa volta concentrato sulla parola. La superficie pittorica è infatti composta da un incastro di elementi geometrici che a un’osservazione ravvicinata risultano essere le lettere della parola INCANTO, spezzate dall’interferenza di saettanti linee grigie.  

Da segnalare nella mostra, che segue passo passo l’evoluzione dell’artista costantemente impegnato a progettare e rappresentare la modernità, la presenza di Linee forza di mare, una lunga tempera su carta intelata del 1919 che è il pendant della Futurlibecciata della collezione Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

 “Nel ‘500 mi chiamavo Leonardo”, dice Balla di sé, scherzosamente ma non troppo, vista la sua volontà di intervento in ogni piega dell’espressione artistica: pittura, architettura, arredo d’interni, arti applicate scandagliate a 360 gradi, grafica, moda, fotografia, scenografia, cinema, danza, recitazione.


Assistito dalla moglie Elisa e dalle figlie Luce ed Elica, trasforma la casa di via Oslavia in una laboriosa fucina creativa dalla quale emergono mobili, suppellettili, oggetti d’uso comune. Nella mostra alla Galleria Russo ci sono diverse testimonianze di quella indefessa attività volta a realizzare la sua idea di arte totale, un percorso entusiasmante che Balla compie più esaustivamente e velocemente degli altri arrivando a un punto – scrive Boccioni – “in cui è difficile che altri si trovi oggi in Europa”.