Incompiuta, mutilata, infinita: la Pietà di Michelangelo

Interventi in corso sulla scultura nell'Opera del Duomo di Firenze

[...] Opera faticosa, rara in un sasso e veramente divina. 
Giorgio Vasari, Vita di Michelangelo (1550)

 La Pietà Bandini scolpita da Michelangelo Buonarroti a Roma, trasferita a Firenze nel 1674, è un estremo, commovente capolavoro di Michelangelo, sottoposto per la prima volta in oltre quattrocentosettanta anni di vita, ad un approfondito intervento di restauro presso il Museo dell'Opera del Duomo, dove è conservato dal 1981. 
Michelangelo Buonarroti aveva più di settant'anni quando, nel 1547 circa, cominciò a scolpire il gruppo di quattro personaggi, alto oltre due metri, normalmente denominato Pietà che le fonti antiche chiamavano invece Deposizione di Cristo. Come racconta Giorgio Vasari nella prima edizione della sua Vita di Michelangelo, pubblicata nel 1550 ma in preparazione sin dal 1546-47, il gruppo scultoreo era destinato all’altare della cappella della chiesa romana di Santa Maria Maggiore dove l’artista pensava di trovare sepoltura e, ancora in fieri, già si presentava, come “il più maestoso mai realizzato da Michelangelo”.

E mentre oggi se ne parla, come di altre sculture del Buonarroti, come ‘opera non-finita’, la dizione che più le compete è forse quella del XVI secolo, quando si diceva ancora: ‘opera infinita’.
Timothy Verdon, direttore del Museo dell'Opera del Duomo

Nell'ideare il proprio monumento funebre, Michelangelo torna a misurarsi con lo stesso tema che lo aveva reso celebre, rielaborando il suo primo capolavoro di successo, la Pietà in San Pietro, scolpita quando non aveva ancora venticinque anni. Ma a distanza di quarant'anni, e dopo l'esperienza maturata per la realizzazione dei grandiosi monumenti per le tombe di Giulio II e per i Medici, prende forma un'opera completamente rinnovata nella concezione compositiva, una visione personalissima e potente del soggetto del sacrificio di Cristo, esito sia delle riflessioni teologiche sviluppate dalla Chiesa in quei decenni intorno al tema della Salvezza, sia della condizione tormentata e ormai pienamente senile di Michelangelo. I sonetti scaturiti proprio negli stessi anni in cui si dedica a questa Pietà e le coeve lettere dell’artista, restituiscono l'immagine di un uomo sofferente, angosciato dalla paura del giudizio e della “seconda morte”, colpito dalla perdita degli amici, tra i quali la nobile Vittoria Colonna, a cui l’artista aveva dedicato un disegno, oggi a Boston, idealmente preparatorio alla Pietà: una Maria seduta sotto la croce, con il corpo del Figlio morto tra le sue gambe.

Il grande artista riassume mezzo secolo di esperienza professionale in quest’opera [...]  E laddove l’interpretazione giovanile del tema, pur nell’elegiaca bellezza, rimane in qualche modo concettuale, questa dell’anziano Michelangelo è carica di vissuto, gravida di sofferenza.
Timothy Verdon, direttore del Museo dell'Opera del Duomo



La realizzazione di un gruppo di quattro figure scolpite in un unico blocco di marmo di Carrara, non allineate ma su piani differenti, costituisce una prova tecnica mai tentata prima dagli scultori italiani. L'innovazione formale introdotta dall'artista è la scelta di rappresentare il corpo di Cristo, non più adagiato tra le braccia della madre ma frontalmente, in tutta la sua potenza comunicativa, sorretto da un anziano incappucciato identificabile con Nicodemo, nel cui volto Michelangelo si sarebbe autoritratto. 

L’identificazione del vegliardo in cui Michelangelo si ritrae come Nicodemo è convincente, sia perché nel Vangelo Nicodemo appare come un uomo anziano che chiede a Cristo il segreto della promessa rinascita, sia perché la tradizione toscana ha visto in Nicodemo lo scultore del Volto Santo di Lucca. 
Timothy Verdon, Direttore del Museo dell'Opera del Duomo

Nel 1555 circa Michelangelo abbandona la lavorazione del gruppo scultoreo e volontariamente danneggia con il martello la figura del Salvatore, mutilandone, in particolare, il braccio sinistro. L'opera, ormai inutilizzabile, venne venduta nel 1561 allo scultore e architetto fiorentino Francesco Bandini per duecento scudi, tramite l'intermediazione dell'allievo Tiberio Calcagni che restaura il gruppo e porta a termine la figura di Maria Maddalena. Nel 1671 la Pietà è venduta a Cosimo III de Medici, Granduca di Toscana, che nel 1722 la farà sistemare sul retro dell’altare maggiore di Santa Maria del Fiore. 
 


Il restauro della Pietà di Michelangelo, finanziato dalla Fondazione non profit Friends of Florence, iniziato a novembre del 2019 ed interrotto a causa della emergenza sanitaria, è da considerare il primo eseguito su questa scultura dell’Opera del Duomo, in quanto le fonti non riportano particolari interventi avvenuti in passato, se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni. Risulta, invece, documentato il calco eseguito nel 1882, di cui rimane la copia di gesso conservata alla Gipsoteca del Liceo Artistico di Porta Romana a Firenze. La prima pulitura della superficie sta riportando alla luce le cromie frutto di precedenti trattamenti del marmo e dettagli non conosciuti della Pietà di Michelangelo - dai segni di lavorazione realizzati con strumenti diversi, alle impronte dei tasselli del calco ottocentesco -  alle tracce di interventi precedenti - nascosti sotto uno spesso strato di depositi di polvere misto a cere, dovute alle colature dei ceri posti sull’altare maggiore della Cattedrale di Firenze, sul cui retro l’opera è rimasta collocata per duecentoventi anni.