Rafael Megall. L'enigma del passato e presente

Demetrio Paparoni racconta l'artista

Rafael Megall ha rappresentato l'Armenia alla Biennale di Venezia del 2017 e in Italia nel 2018 ha partecipato tra l’altro alla mostra Le Nuove Frontiere della Pittura alla Fondazione Le Stelline di Milano. Una nuova monografia sul suo lavoro è prevista entro la fine dell'anno, pubblicata da Rizzoli NY e firmata da Demetrio Paparoni, il critico d’arte che più di ogni altri segue il lavoro di Megall quasi dagli esordi e che ha curato anche una sua grande mostra  al MoMA Moskow, Museo di Arte Contemporanea di Mosca, che si potrà visitare fino al 12 maggio 2021.

Rafael Megall "Idols and Icons.Self-Portrait with Panther on the Head", 2020. Acrilico su tela, 170x130 cm

La caratteristica essenziale di Rafael Megall è il rapporto costante con la tradizione armena. Nei suoi dipinti, qualunque sia il soggetto, c’è sempre in sottofondo una trama che sono  proprio decori della cultura armena che si intrecciano all’interno della figurazione  diventando un tutt’uno con l’immagine stessa. 
Demetrio Paparoni


Rafael Megall "The panthers in my blossoming garden #17-3", 2017. Acrilico su tela, 150x195 cm

Rafael Megall, che lavora spesso ciclicamente ripetendo gli stessi soggetti su più quadri, ha concentrato la sua attenzione sulla rappresentazione di felini, per lo più pantere, mimetizzate su uno sfondo naturalista-astratto. sempre intriso di decori tipici della cultura armena. Sembra come se stessero per sferrarti un agguato, sbucando improvvisamente dal pattern decorativo.

Qualunque sia il ciclo di lavoro a cui ci riferiamo c’è sempre un senso di angoscia latente, però in questo c’è un po’ un contrasto perché i colori spesso sono vivaci.
Demetrio Paparoni  

Rafaell Megall "Porcelain idols #5", 2019. Olio su tela, 195x195 cm

Il ciclo più recente Porcelain Idols nasce da una richiesta di un collezionista di statuine di ceramica che ha invitato Megall a sperimentare una figurazione legata a per l’appunto alle preziose statuine.  Durante la sua prima fase di esplorazione l’artista ha raccolto sul suo computer figurine di porcellana prevalentemente di epoca sovietica, molto diffuse nelle abitazioni comuni, scontornandole con l’intento di frammentarle per ottenere un bozzetto digitale tridimensionale che risultasse come una sintesi di diversi esemplari. Da questi studi ha poi realizzato dei dipinti con acrilici e olio.

Durante la fase di costruzione - racconta Paparoni nel suo testo introduttivo al catalogo della mostra al MoMA - mentre muoveva i diversi ritagli sullo schermo Rafael si è reso conto che sarebbe stato molto più interessante riportare sulla tela i frammenti come se fossero proiettati nello spazio da un’esplosione. Ha avvertito questa soluzione più coerente con i temi centrali nella sua poetica, primo tra tutti quello della diaspora dei popoli, del disperdersi degli uomini nel mondo dietro la spinta di eventi che non si possono controllare. Ha dunque abbandonato l’idea della scultura per dare inizio al ciclo di dipinti Porcelain Idols.  (…) Inseriti in un contesto allegorico, non riconducibili alla vita di chi li ha posseduti, i frammenti delle statuine di porcellana lasciano affiorare una narrazione che, senza gli indizi che l’artista ci fornisce attraverso i titoli delle opere, rimane criptica. Come avviene in tutti i suoi dipinti non è la mera rappresentazione degli oggetti a definire la narrazione, ma l’uso metaforico che egli ne fa.

Le immagini di queste statuine, che in passato erano custodite nella vetrina del salotto buono delle famiglie dell’URSS, sono riportate su tela da Megall come frammenti di una cultura e di un modo di vivere che non esiste più. Non va dimenticato che in epoca sovietica l'Armenia era una delle repubbliche più industrializzate, oggi invece molte grandi industrie sono state smantellate. Questa situazione si è aggravata con la recente guerra tra l’Armenia e l’Azerbaigian prima, con la pandemia del Covid-19 dopo.


Rafael Megall "Porcelain Idols #1", 2018. Olio su tela 150х195 cm

L’opera di Megall ci rammenta  la caducità e la fragilità della nostra esistenza e la precarietà dell’illusione di una vita “sicura”. Attraverso la metafora delle pantere nascoste nel suo giardino di casa, in agguato, pronte all’attacco improvviso, Megall mette in scena la tensione cui è sottoposta la vita di ognuno di noi.