Federico Zeri e la via Appia

Anna Zanoli, 1974

Federico Zeri e la Via Appia, ad oggi il primo documento filmato sullo storico dell'arte trasmesso dalla tivù pubblica italiana e non a caso, dedicato a uno dei temi più cari al maestro, la salvaguardia del patrimonio paesaggistico romano  

Per la serie, In difesa di,  con regia di Maurizio Cascavilla e cura di Anna Zanoli (1934-2020), entrambe autori di efficaci filmati culturali, questo documentario inchiesta vuole denunciare un frammento  importante del degrado della Roma antica, la via Appia, strada romana che collegava Roma a Brindisi, porto tra i più importanti dell'Italia antica, da cui avevano origine le rotte commerciali per la Grecia e l'Oriente. 

Attentamente studiata fin dalla giovinezza nei testi classici, negli ultimi anni di vita, Zeri voleva dedicare un  ambizioso progetto televisivo all'Appia antica 

L'Appia, racconta Zeri, accoglieva la tomba di Seneca e dal Seicento, con il recupero del senso paesaggistico, fino all'Ottocento con Goethe, era un luogo importantissimo per gli artisti che qui venivano a studiare tombe, marmi e stele romane. 

Durante il secolo Decimo Ottavo, la via Appia era uno dei punti obbligati del Grand Tour, cioè del viaggio che i nobili inglesi facevano sul continente per visitare i luoghi storici e i monumenti più interessanti. È diventata la via Appia uno dei riferimenti più comuni, anche nella letteratura degli stranieri che venivano a visitare l'Italia. Non per niente Goethe si fece ritrarre dal Tischbein avendo nel fondo la via Appia
Federico Zeri

Fra le rovine di monumenti abbandonati, Zeri è qui testimone con lo spettatore di  un "parco di rifiuti", che un tempo era parte della campagna romana. 
Il degrado di un paesaggio violentato dai quartieri di cemento (l'Appio Tuscolano) che, con il boom economico hanno iniziato a circondare Roma snaturando lo scenario circostante, è qui messo in evidenza da audaci vedute aeree. 
Zeri spiega che a fine Ottocento il ministro Bacelli si era già posto il problema di questo monumento a cielo aperto ed era intervenuto trasformando la prima parte della via dentro Roma, in una passeggiata archeologica. Dopo Bacelli, solo nel 1931, venne posto un vincolo alle costruzioni intorno alla zona e fino al secondo dopoguerra, l'unità paesistica e monumentale non era ancora stata pesantemente intaccata. 
A dare inizia alla manomissione della via Appia, fu "l'ignobile edificio" della Pia Casa di Santa Rosa, che da tre piani, si alzò fino al quarto, incoraggiando successivamente la costruzione di altre ville. 

Unico monumento rimasto integro nel complesso, il Mausoleo di Cecilia Metella, che ha mantenuto anche la sua struttura esterna di torrione

Zeri, infine, entra in mezzo ai rovi, attraverso un cancello divelto, a Villa dei Quintili, residenza di epoca romana situata al quinto miglio della via Appia antica.

Io ricordo l'ingresso  monumentale di Villa dei dei Quintili come si presentava un tempo, completamente in ordine, pulito, scavato. Ecco lo stato attuale, dappertutto vitalbe, rovi, edere, mura fatiscenti, c'è persino pericolo di crolli improvvisi a visitare questo importantissimo monumento. Ovunque frammenti marmorei e rifiuti sparsi qua e là. 
Federico Zeri

Zeri ricorda che Italia Nostra,  aveva presentato un progetto di riqualificazione della zona per renderla parco pubblico, ma dal 1965, la proposta era rimasta ferma allo stato di decreto. La tutela dell'Appia antica infatti, era all'epoca già oggetto di denuncie da parte di Antonio Cederna (1921–1996), intellettuale, giornalista, politico e ambientalista, nonché tra i  fondatori di Italia Nostra (1955), che al sito romano aveva dedicato centinaia di articoli. Nel 1993, Cederna era stato nominato Presidente dell'Azienda Consortile per il Parco dell'Appia Antica, nomina che gli permise di attivare il suo progetto di Parco pubblico attuato sei mesi dopo la sua morte, nel 1997.
Con questo intervento di Zeri, trasmesso allora sulla prima rete nazionale, l'effetto della denuncia fu tale, che la Soprintendenza alle Belle Arti di Roma intervenne per sostituìre alcuni originali di statue, facilmente asportabili, con dei calchi in gesso.

FOTO DI COPERTINA
Federico Zeri, 1988 © Gianni Berengo Gardin / Contrasto