Zsófia Keresztes: Dopo i sogni ho il coraggio di sfidare i danni

Il Padiglione dell'Ungheria alla Biennale Arte 2022

Sculture anamorfiche, forme modellate ricoperte da minuscoli mosaici di vetro creano un universo di corpi che sembrano in continua metamorfosi. L’installazione di Zsófia Keresztes, l’artista che rappresenta a Venezia l’Ungheria alla Biennale Arte 2022, esplora temi legati alla ricerca dell'identità. Le sculture presentate nel padiglione sono le ultime opere create dell'artista specificamente per la Biennale.

Dietro all’ispirazione di  Zsófia Keresztes c’è il “Dilemma del porcospino”, una metafora delle relazioni umane del filosofo Schopenhauer che l’artista colloca nel contesto del XXI secolo, secondo cui più due esseri viventi si avvicinano tra loro maggiori sono i rischi di farsi male, come accade per due porcospini che, a causa degli aculei,  possono ferirsi.


Mónika Zsikla, curatrice della mostra, spiega nel testo del catalogo “ Proseguendo ulteriormente con il filone di pensiero schopenhaueriano, il punto di partenza associativo della mostra veneziana è tratto da un episodio del romanzo del 1937 di Antal Szerb intitolato Viaggio al chiaro di luna, che riscosse un enorme successo internazionale nei primi anni 2000. Quando il protagonista arriva a Venezia in luna di miele, parte da solo, senza la moglie, alla scoperta dei mosaici di Ravenna, sperando di riaccendere i ricordi della sua infanzia. Il dilemma del porcospino si sposa perfettamente con la storia del romanzo: i reperti delle culture passate fanno capire al protagonista non solo che gli individui traggono la propria identità dal proprio background sociale e culturale, ma anche che il proprio presente è inevitabilmente costruito sui frammenti del passato. Questa mostra non parafrasa gli eventi del romanzo, ma utilizza come analogia poetica l'esperienza mistica del protagonista nel vedere i mosaici di Ravenna, in particolare quel momento in cui il suo senso di integrità viene infranto e la sua visione del mondo prima incontrastata viene messa in discussione. È attraverso la sofferenza del dubbio che una persona cresce in grado di affrontare il proprio sé in costante cambiamento.”
 

L’ essere umano, come essere sociale, è incapace di vivere da solo, e quindi cerca costantemente altri con cui condividere pensieri, sentimenti e amore. 






Nel mondo di oggi, accelerato anche dalla recente pandemia, l’approccio agli altri accade sempre più spesso in spazi virtuali. Con pochi clic possiamo entrare in contatto con chiunque, possiamo creare il nostro ambiente, profilo e identità, e possiamo persino trasformarci in personalità all'interno di un crogiolo virtuale che cattura indelebilmente le tracce che lasciamo.

Trovando empatia in rete si coglie l’opportunità per avvicinarsi a chi ci ha ispirato maggiormente e ci si sente al contempo parte di una comunità. Allo stesso tempo si diventa indifesi e vulnerabili, come racconta l’artista in quest’intervista, perché non si ha certezza se  l’interlocutore sia un amico o un nemico. I frammenti dei pixel che compongono le immagini che formano i nostri universi virtuali ci rende fragili, come sono fragili i tasselli in vetro che Zsófia Keresztes elabora e incolla uno ad uno per comporre le sue sculture. 






Nel Padiglione dell’Ungheria tutte le opere sono legate tra loro da catene in acciaio e, come in una grande ragnatela, formano una rete che le connette tra di loro ma allo stesso tempo le cattura e le imprigiona. Le sue sculture appaiono così come organismi fluidi, con le loro superficie brillanti in colori  che evocano la pelle umana e forme complesse e surreali, che a volte danno l’impressione di scrutarti senza darti scampo.