Ubaldo Oppi: ritratti di donna

Il femminile, gli anni Venti e Novecento

Il breve filmato (da Save the Date) indaga la figura femminile nella mostra “Ritratto di donna. Il sogno degli anni Venti e lo sguardo di Ubaldo Oppi” (Basilica palladiana, Vicenza, 2019-’20), esposizione curata da Stefania Portinari, qui intervistata. 

Dal mito Simbolista della femme fatale di epoca fin de siècle, seduttrice irresistibile e a tratti malefica, alla suffragetta impegnata nell’Inghilterra di inizio Novecento, dopo la Prima guerra mondiale le donne cominciano a conquistare un ruolo sociale

Autonoma, moderna, colta, la donna degli anni Venti accorcia i capelli e le gonne; Coco Chanel cambia la moda, Amelia Earhart attraversa in volo l’Atlantico, Joséphine Baker seminuda incanta Parigi con le sue esibizioni. 
Di questa donna, così diversa dal modello anteguerra, in Italia ne offre il ritratto magnetico il pittore di origini bolognesi Ubaldo Oppi (1889-1942), cresciuto a Vicenza, ma non a caso formato propria a Vienna, nell'Accademia di nudo della Secessione diretta dal paladino delle femme fatale di fine Ottocento, il pittore Gustav Klimt. 
Negli anni di formazione, Oppi viaggiò molto nei paesi dell’Est fino in Russia e rientrato in Italia, nel 1910, si stabiliva a Venezia, dove iniziava ad esporre nella galleria di Ca’ Pesaro.
L’anno successivo viaggiava a Parigi, dove rimase per un lungo periodo a fianco di Gino Severini ed Amedeo Modigliani; schivo nei confronti della nuova avanguardia cubista, con la sua solida formazione mitteleuropea, Oppi continuava a lavorare su istanze tardo impressioniste e simboliste, proponendo figure di donne malinconiche, emaciate, esangui e spesso caratterizzate da grandi occhi a mandorla. Nella Ville Lumière, infatti, il giovane ebbe una travagliata relazione amorosa con Fernande Olivier, la compagna dagli “occhi di gatto” di Pablo Picasso che lasciò lo spagnolo per lui. 

A Parigi, Ubaldo era chiamato “Antinoo” per la sua bellezza di giovane alto, con un viso maschio e un corpo atletico formato nell'esercizio quotidiano dello sport

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, l’artista tornava in Italia per combattere nel corpo degli alpini, ma fatto prigioniero, trascorse alcuni mesi a Mauthausen.
In questi anni, Oppi predilige soggetti di povera gente, famiglie di soldati, contadini, operai, madri con bambini e padri disoccupati davanti alla fabbrica, tipologie proletarie guardate con una “pietas” quasi pudica, che non scava il dramma, ma vagheggia un altro mondo. 
Con la fine della guerra, Oppi abbandona il pauperismo della stagione giovanile e scopre una nuova serenità: nel 1919, infatti, a Parigi, sposava Adele Leone, detta Dehly, sua musa ispiratrice e modella in moltissime tele. 
Rientrati in Italia, la coppia si stabiliva definitivamente a Milano. Qui, avvenne un nuovo incontro con Margherita Sarfatti, che già aveva scritto su di lui e che ora lo invitava a collaborare con i suoi sei pittori del gruppo Novecento: Leonardo Dudreville, Emilio Malerba, Pietro Marussig, Mario Sironi, Achille Funi e Anselmo Bucci, qui presenti in mostra (Sarfatti, la musa del Duce). 

Le proposte estetiche del gruppo Novecento non erano omogenee, bensì, interpretavano un diffuso sentimento dell'arte europea

Anticipato per molti aspetti in Italia, tra il 1918 e il ‘21, dalla rivista “Valori Plastici” di Mario Broglio, Novecento affianca un generale e diffuso “Ritorno all'ordine” che, in Germania per esempio, vien chiamato “Nuova Oggettività”, mentre nel nostro paese, corrisponde di più alla ripresa di valori “classici”, filtrati da un gusto per il “primitivismo”. 
Il recupero della tradizione pittorica classica italiana sarà per Oppi di impronta quattrocentesca, risolta in un naturalismo asciutto e quasi metafisico. Caratteristiche queste, per le quali il critico d’arte tedesco Franz Roh teorizzava la formula di “Realismo magico”, individuando in Oppi un suo grande esponente. Margherita Sarfatti, invece, in alcuni scritti definisce la sua pittura di “moderna classicità”, una formula che Oppi racchiude nel “Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia” (1921), presentato al Salon d’Automne parigino nel 1922. 

Da allora, prendono vita le sue figure di donne astratte dal contesto, quasi isolate dalla vita che le circonda, malinconiche ed enigmatiche, capaci di vedere oltre

La prima mostra ufficiale di Novecento ebbe luogo nel 1923, alla Galleria di Lino Pesaro dove, per alcuni mesi, gli artisti di comune accordo esponevano a rotazione le loro opere. Ma nonostante la regola, Oppi organizzava mostre personali con l’aiuto del suo estimatore, il critico Ugo Ojetti. Pertanto, il pittore originò pesanti malumori all’interno di Novecento, tantoché, alla Biennale di Venezia del 1924, Oppi esponeva fuori dal gruppo nel Padiglione Italia
Malgrado ciò, l’artista mantenne buoni rapporti con Sarfatti e negli anni successivi, fu insignito di importanti riconoscimenti e continuò l’intensa attività espositiva in Italia e all’estero, da Milano a Parigi e Berlino, fino a New York.
Gli anni Trenta di Oppi sono accompagnati da una conversione mistica che lo avvicina al cattolicesimo e ad opere di tema religioso, tra cui una pala per la Chiesa di Valdobbiadene e un ciclo di affreschi per la cappella di San Francesco nella “Basilica di Sant’Antonio” a Padova (1930-’32), dove applica il suo “classicismo novecentista” su pittura murale. 
Le sue ultime opere furono soprattutto di commissione privata.

FOTO DI COPERTINA
Ubaldo Oppi, Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia, 1921, olio su tela, Rovereto, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto