Le voci degli artisti sui luoghi della "rimembranza"

"C'è tempo per le nespole" in mostra a Roma

La costituzione di Parchi e Viali della Rimembranza risale al decreto Lupi del 27 dicembre 1922, un atto che investi le scolaresche di ogni comune d’Italia del compito di piantare un albero per ciascun soldato defunto.
A cento anni esatti dall’istituzione dei “Parchi della Rimembranza” sorti all’indomani della Prima Guerra Mondiale, l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) presenta “C’è tempo per le nespole”, un progetto di ricerca ampiamente documentato in un prezioso volume (Natura aere perennius. Parchi della Rimembranza e luoghi della memoria, Vincenzo Cazzato, 2022) e in due mostre: la prima allestita negli spazi del Museo della guerra di Rovereto (Gli artisti contemporanei e i luoghi della memoria), la seconda presso l’Istituto di Roma che espone i risultati finali del lavoro di committenza su luoghi e temi indagati da artisti e fotografi coinvolti nel progetto. 

Con il tempo e con la paglia maturano le nespole”

L’originale titolo della mostra deriva dall’uso che si è fatto del frutto dopo la raccolta, quando inizia a maturare lentamente nella paglia e al buio. Il detto popolare, venne riportato in una lettera inviata dai familiari a un soldato sul fronte di guerra, come esortazione alla pazienza in attesa di tempi migliori.
Questo richiamo che esalta l’aspetto più intimo del caotico scenario pubblico di guerra è anche una dichiarazione di intenti degli autori, un indirizzo che spiega la prospettiva da cui è stata affrontata la ricerca del complesso progetto. 

“C’è tempo per le nespole. Nuove narrazioni dalla Grande Guerra”, è stata curata da Francesca Fabiani e Alessandro Coco, con la partecipazione di Chiara Capodici, Peter Lang e Francesca Lazzarini.
I nove artisti che hanno affrontato in maniera non dottrinale e retorica la ricerca, provengono per la maggior parte dal mondo della fotografia contemporanea con ampie esperienze anche curatoriali
Sono Fabrizio Bellomo, Alessandro Imbriaco, Riccardo Cecchetti, Claudio Gobbi, Stefano Graziani, Hitnes, Taiyo Onorato & Nico Krebs e Moira Ricci (C'è tempo per le nespole. Nuove narrazioni dalla Grande Guerra), artisti scelti e chiamati a svolgere un lavoro di committenza libero da vincoli particolari, cosa che ha permesso una proposta variegata di forme artistiche, dalla performance all’installazione, dalla fotografia di documentazione all’illustrazione.
Bellomo e Imbriaco sono stati intervistati per l’occasione da Rai Cultura assieme a Chiara Capodici, curatrice coinvolta, in particolare, nel lavoro del duo artistico Onorato&Krebs.

Alessandro Imbriaco (Salerno, 1980), di formazione ingegnere, dal 2007 si dedica alla fotografia realizzando immagini che documentano particolari realtà sociali; nelle sue foto di paesaggi e architetture emergono significati nascosti e molto intimi.
Presente più volte alla Biennale di Architettura di Venezia (2014, 2016 e 2021), insignito di premi e riconoscimenti internazionali, Imbriaco, aveva già collaborato con l’ICCD di Roma, Istituto che in parte già conserva sue opere.
In apertura di filmato, Imbriaco racconta il suo lavoro su Villa Glori, Parco della Rimembranza romano che, da giardino privato, nel 1924 diventava parco pubblico per commemorare i caduti della Grande Guerra. Alla fine degli anni Cinquanta, la Villa diveniva sede di un campeggio del Touring Club, fatto che ha dato il titolo al lavoro di Imbriaco, “Camping Glori”. 

In occasione dell’istituzione del Parco furono piantati più di seimila alberi, soprattutto querce, oggetti che l’artista tratta quasi come ritratti a figura intera

Da questi alberi, viali, scorci boschivi e qualche monumento del luogo, in un primo momento Imbriaco ne ricavava soggetti per le sue foto scoprendo che, a mano a mano che procedeva nel lavoro, emergeva la preziosità di una certa “documentazione”, quella svolta dall’ICCD stesso, la cui lunga storia e modalità operativa dei suoi fotografi era tutta conservata dentro il grande Gabinetto Fotografico Nazionale

Nel lavoro di Imbriaco entra l’antica tecnica assieme alle vecchie apparecchiature a cui l’artista vuole ridare vita, forse per l’ultima volta, prima della loro museificazione

L’artista utilizza un banco ottico con grandi lastre (20x25cm.), lo stesso formato nel quale ripropone la foto bianco e nero, anch’essa stampata nelle camere oscure dell’Istituto
Nell’antica valigetta di un corpo macchina, la Sinar, proposta in mostra nell’unica foto a colori, Imbriaco attacca con dello scotch le informazioni tecniche riguardanti ogni singola foto, dai tempi di esposizione, alla lastra usata e tanto altro, rendendo l’oggetto testimone di una “sintesi” del processo creativo.  
Il metodo di lavoro “oggettivo” tipico dello stile ICCD, il grande formato, la definizione dell’immagine, l’eleganza e la varietà dei toni bianco e nero, restituiscono un lavoro originale contemporaneo e nello stesso tempo, intimamente connesso alla natura antropologica della ricerca artistica. 

Fabrizio Bellomo (Bari, 1982), artista, performer, curatore e regista, approccia da sempre il suo lavoro in maniera multidisciplinare, data una formazione specifica in Disegno Industriale, Fotografia e Progettazione Visiva presso atenei italiani. I suoi lavori audiovisivi, fotografici e istallativi, sono pensati come strumenti critici, spesso provocatori e ironici per scuotere l’attenzione e attuare il coinvolgimento di un pubblico sempre più distratto.

Come artista provo a giocare con gli strumenti del potere, sostituendomi a esso così da innescare dei cortocircuiti nel tessuto urbano …
Fabrizio Bellomo

Con la performance qui proposta, dal titolo “Il ponte”, Bellomo riattiva una delle tante storie esemplari dei profughi della Grande Guerra, la singolare vicenda di due bambini, Mandurino Weiss e Trento Dinoi, nati entrambi il 17 giugno del 1916. 
Il 19 dello stesso mese, Domenico Weiss, sfollato trentino a Manduria, profugo insieme alla moglie Maria Lott, va al Municipio per dichiarare la nascita del figlio e lo chiama Mandurino in onore della cittadina pugliese che aveva generosamente ospitato lui e la nuova famiglia. Testimone di quest'atto di nascita, Michele Dinoi, lì per le medesime ragioni, registrare il figlio nato lo stesso giorno; commosso dal gesto di Weiss, decide per il nome di Trento.
Il bizzarro episodio, già più volte onorato dalle cronache per il particolare “ritrovamento” dei due nelle fila dell'esercito italiano in Etiopia, durante la Seconda Guerra Mondiale, balza all’attenzione dell’artista. L’intreccio geografico dei nomi, diventa lo spunto per un’altra storia “minima” ed esemplare scaturita dalla guerra, un gesto di riconoscenza e affetto reciproco di due nuove famiglie solidali nella sorte.
Nell’azione performativa Bellomo si pone ironicamente come “palo umano” e reggendo un cartello stradale con i nomi di “Mandurino Weiss e Trento Dinoi”, si posiziona nei pressi di un ponte a Manduria affinché esso venga intitolato ai due bambini.
Naturalmente ciò non accade, ma non è importante.
In mostra l’artista espone i suoi scatti e alcuni screenshots tratti da un TG Regionale che aveva documentato la performance, assieme ad una serie di ritagli stampa e l’email inviata da Bellomo al Comune per la realizzazione del ponte, poi caduta nel dimenticatoio. 

Chiara Capodici (Roma, 1978), curatrice ed esperta di libri sulla fotografia per i quali ha organizzato mostre e workshop in Italia e all’estero, qui introduce il duo artistico Onorato & Krebs (Taiyo Onorato e Nico Krebs, 1979) con i quali ha collaborato per finalizzare il lavoro esposto, “Memory of war”. 
Onorato e Krebs iniziano a collaborare nel 2003 a Zurigo dove frequentano l’University of Arts. Con un approccio multidisciplinare, tra fotografia, video, istallazione, scultura, nonché “libri d’artista”, il duo affronta la ricerca su un quotidiano carico di significati inattesi e disorientanti al fine di creare immagini dove realtà e finzione coincidono. 

Capodici, racconta l’origine delle fotografie esposte realizzate attraverso l’uso di droni in volo, l’elemento bellico tecnologicamente più avanzato 

Originariamente, Onorato e Krebs volevano operare sui cieli della Sardegna del Nord, dove sono conservati luoghi commemorativi della prima Grande Guerra che qui ha visto la decimazione degli abitanti maschi dell’Isola, oggi ricordati come “Brigata Sassari”.
A seguito delle restrizioni per la pandemia, il duo ha scelto di spostare il progetto tra la Svizzera e l’Italia, in una zona di “confine”, appunto, per sottolineare la caratteristica più prominente e nello stesso tempo artificiale che identifica una nazione, i suoi confini per i quali scaturiscono le guerre. 

Un’ANTI STORIA performativa, un ANTI MEMORIALE, un atto effimero, scultoreo, disegnato nel cielo con la luce …
Taiyo Onorato e Nico Krebs

Gli artisti colgono una serie di scatti di luce prodotti dal drone, tracce destinate a scomparire ma che, catturate dalla fotografia, generano forme nello spazio pari a "monumenti effimeri".
Questi segni di luce, afferma Capodici, modificano visivamente il paesaggio e dichiarano una diversa memoria di guerra, una guerra che è “sempre sbagliata”, che “non si ripeterà mai più” e che nelle fotografie di Onorato & Krebs diventa anti-storica e anti-monumentale.

LA MOSTRA
C’è tempo per le nespole. Nuove narrazioni dalla Grande Guerra
Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, Roma
15 dicembre 2022 - 24 febbraio 2023

FOTO DI COPERTINA

Fabrizio Bellomo, Il Ponte, documentazione performance, agosto 2020, Manduria, ph. di Ch. Mantuano. Stampa a colori cm 30 x 45CM. (no bordo) 2020