La memoria degli oggetti

La memoria degli oggetti

Lampedusa 2013: una mostra ricorda la grande tragedia del Mediterraneo

La memoria degli oggetti

 A dieci anni dal naufragio del 3 ottobre 2013, quando al largo di Lampedusa persero la vita 368 persone, donne, uomini e bambini che dall’Eritrea cercavano di raggiungere l’Europa, l'esposizione La memoria degli oggetti ricorda la prima grande tragedia del Mediterraneo. Per la prima volta, infatti, quel giorno di inizio ottobre, i corpi dei naufraghi furono visibili al mondo intero. Un evento che cambiò la percezione dei naufragi e che scatenò una reazione emotiva a livello politico, mediatico e sociale. Da quella tragedia, dal 2014 a oggi, si contano oltre 31.000 persone morte nel Mediterraneo con la speranza di raggiungere l'Europa.

Presentata negli spazi del Memoriale della Shoah, luogo simbolo della memoria, la mostra, che sarà aperta fino al 31 ottobre, comprende gli oggetti e le foto appartenuti ai migranti e il lavoro fotografico inedito di Karim El Maktafi che li ha documentati attraverso degli still-life.
Il fotografo, inoltre, ha immortalato il mare e i paesaggi di Lampedusa, luogo simbolo di approdo ma anche di tragedie e naufragio, e realizzato i ritratti di alcuni dei soccorritori e di alcuni sopravvissuti e parenti delle vittime.  
Altro protagonista al Memoriale della Shoah è Adal Neguse, rifugiato eritreo, con i suoi disegni e la sua storia: fratello di Abraham, vittima del naufragio, racconta con i tratti della matita le atrocità delle torture subite dai giovani del suo Paese che tentano di scappare dal regime. Non esiste alcun tipo di documentazione delle torture, per questo Adal le ha disegnate e i suoi disegni sono stati acquisiti come prova dalle Nazioni Unite nella risoluzione che condanna il regime eritreo per crimini contro l'umanità. 

Oggetti, fotografie inedite e testimonianze per dare dignità e valore alla vita e costruire una memoria condivisa.


Fotografia appartenuta ai naufraghi © Karim El Maktafi/Zona

La memoria degli oggetti nasce proprio dalle cose appartenute alle persone migranti morte quel tragico 3 ottobre, repertati allora dalla polizia come corpi di reato, prove da portare in tribunale che hanno consentito di identificare le persone decedute anche grazie alle rilevazioni del DNA, di dare loro un nome e restituire dignità anche ai loro familiari. Una macchinetta rossa di un bimbo, un paio di occhiali da sole, una boccetta di profumo, uno specchio rotto, una bussola, un biglietto scritto a penna e ripiegato con cura nella tasca: oggetti di vita quotidiana, l’immagine più evidente di una umanità in fuga. 

L’intento della mostra in occasione dell'anniversario è anche quello di sollevare questioni cruciali che vanno oltre l’individuo, che riguardano i diritti umani e il valore della vita in un mondo globalizzato e di fare un primo passo verso la costruzione di una memoria condivisa.
Per questo la scelta del Memoriale della Shoah è particolarmente significativa. Ricorda Roberto Jarach, presidente Fondazione Memoriale della Shoah di Milano: "Questo per il Memoriale è un impegno importante, in linea prima di tutto con le azioni intraprese insieme alla Comunità di Sant’Egidio tra il 2015 e il 2017, quando abbiamo accolto oltre 8000 persone arrivate in Italia come rifugiate, e con il proprio scopo sociale".

Il Memoriale è un luogo legato agli orrori che guerre e ingiustizie hanno creato, e oggi deve essere quindi spazio di riflessione su questi temi.
Roberto Jarach, presidente Fondazione Memoriale della Shoah di Milano

«Il Memoriale non vuole e non può essere soltanto un monumento, un luogo di ricordo di ciò a cui ha portato l’antisemitismo, ma sente come suo dovere quello di combattere la battaglia contro tutti i pregiudizi e di farlo insieme a tutti coloro che vogliono difendere ogni giorno i valori di democrazia, uguaglianza e libertà.» aggiunge Marco Vigevani, presidente Comitato Eventi della Fondazione Memoriale, «Oggi quella scritta indifferenza voluta all’ingresso del Memoriale da Liliana Segre deve spingerci a una riflessione profonda sul nostro presente, su come vogliamo vivere l’essere comunità umana, sull’indifferenza che dobbiamo noi per primi superare. Abbiamo una responsabilità: chiedere, informarci, sensibilizzare, stimolare momenti di riflessione.»

«La forza di quegli oggetti è che ci costringono a guardarci in tasca», spiegano nei testi che accompagnano le immagini Valerio Cataldi e Imma Carpiniello, curatori della mostra, "a cercare quegli occhiali da sole, quell’orologio, quella boccetta di profumo, quello specchietto, quel telefono. Ci costringono a riconoscere che la nostra vita è piena delle stesse cose. Che solo il caso ci ha consentito di non aver bisogno di afferrare quegli oggetti e lasciare per sempre il nostro mondo".
 

Oggetto appartenuto ai naufraghi © Karim El Maktafi/Zona

Karim El Maktafi è un fotografo italo-marocchino, nato a Desenzano del Garda nel 1992. Nel 2013 si è diplomato presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Nel 2016 ha ottenuto una borsa di studio a Fabrica dove ha realizzato il progetto “Hayati”, vincitore del PHMuseum 2017 Grant – New Generation Prize, e finalista del CAP Prize 2017. Karim porta avanti progetti a lungo termine tra Italia e Marocco e la sua ricerca fotografica esplora il concetto di identità e appartenenza attraverso la fotografia documentaria e il ritratto. Il suo lavoro è stato esposto a La Triennale di Milano, il Museo Macro a Roma, il Museum in Der Kulturbrauerei a Berlino, e in altri festival di fotografia in Europa, oltre ad essere stato pubblicato, tra gli altri, su The Washington Post Magazine, National Geographic USA, Internazionale, Vogue Italia.

La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo 
Memoriale della Shoah di Milano, 26 settembre – 31 ottobre 2023

Foto di copertina: Lampedusa, 2023 © Karim El Maktafi/Zona