Beato Angelico. La mostra a Palazzo Strozzi
I capolavori della maturità
L'esposizione si sviluppa attraverso le due sedi di Palazzo Strozzi e del Museo di San Marco con un totale di oltre centoquaranta opere tra dipinti, disegni, miniature e sculture provenienti dai più importanti musei e collezioni italiane e straniere.
A Palazzo Strozzi il percorso si snoda attraverso otto sezioni, cronologiche ma anche tematiche, che ripercorrono la produzione dell’artista. Il racconto prende avvio dalle commissioni nel primo Quattrocento per la chiesa vallombrosana di Santa Trinita, un centro di riferimento per il mecenatismo privato a Firenze. Nel contesto del rinnovamento della chiesa intrapreso dalla famiglia Strozzi si inseriscono opere di fondamentale importanza come l’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano Angelico e la Pala con la Deposizione iniziata da Lorenzo Monaco (1421-1424 circa) e poi affidata all'Angelico (1430-1432 circa) che qui rivisita le ambientazioni tradizionali e cala l'episodio nella Firenze contemporanea.
Il linguaggio figurativo si rinnova profondamente nella Firenze del primo Quattrocento. Una nuova sensibilità tra devozione e rappresentazione prende forma e significato nei luoghi legati alla vita religiosa e assistenziale della città. In questo quadro si inseriscono le commissioni del convento domenicano di Santa Maria Novella, del monastero camaldolese di Santa Maria degli Angeli, della confraternita di San Francesco presso Santa Croce e dell’ospedale di Santa Maria Nuova. Questi contesti generano opere che coniugano tradizione e innovazione, rivolgendosi a una comunità composta da frati, monaci, suore, confratelli e laici.
Angelico è una figura chiave di questa stagione. Nei suoi dipinti, insieme a quelli dei suoi collaboratori, l’eredità della tradizione si unisce alle novità rinascimentali: l’oro e i colori brillanti si fondono con una nuova attenzione allo spazio, ispirata all’esperienza di Masaccio ma declinata in modo più misurato. Ne deriva un linguaggio limpido e costruito con cura. Un linguaggio già pienamente orientato in questa direzione si ritrova in opere come il Giudizio universale (1425-1428 circa) da Santa Maria degli Angeli a Firenze, dove la successione prospettica delle tombe vuote costituisce uno dei primi efficaci esperimenti di prospettiva del pittore.
Un'intera sala della mostra è dedicata al rinnovamento del convento di San Marco a Firenze, voluto da Cosimo de’ Medici, che ne aveva promosso l’affidamento ai domenicani osservanti di Fiesole e ne sostenne la trasformazione in uno dei principali centri spirituali e culturali della città. Il complesso divenne il fulcro dell’attività artistica di Angelico.Celebre per un linguaggio che, partendo dall’eredità tardogotica, utilizza i principi della nascente arte rinascimentale, Beato Angelico ha creato dipinti famosi per la maestria nella prospettiva, nell’uso della luce e nel rapporto tra figure e spazio. Una visione artistica fondata su una profonda meditazione del sacro in connessione con l’umano.
La pala, eseguita tra il 1438 e il 1442 commissionata da Cosimo e suo fratello Lorenzo per l’altare maggiore della chiesa, rimossa e smembrata già nel 1678-1679, è qui eccezionalmente ricomposta con diciassette delle diciotto parti oggi note.
Fra Tre e Quattrocento le croci e le Crocifissioni sagomate dipinte ebbero un ruolo significativo nella devozione dell’Italia centrale. Destinate a chiese, monasteri e confraternite, univano pittura e scultura in un’immagine sagomata e plastica che simulava una presenza reale sull’altare, amplificando l’impatto visivo e favorendo la partecipazione del fedele. Esemplare di questa tipologia è la Crocifissione di Lorenzo Monaco, oggi in San Giovannino dei Cavalieri, in cui la raffinatezza cromatica e la cura formale si fondono a un’intensa umanità, ponendo un modello destinato a influenzare a lungo. Per la compagnia di fanciulli di San Niccolò di Bari, detta “del Ceppo”, Beato Angelico esegue Il dipinto, su tavole sagomate, che raffigura Cristo crocifisso tra i santi Nicola di Bari e Francesco d’Assisi, inginocchiati presso il Golgota (1427-1430 circa).
La Crocifissione del Ceppo traduce la lezione di Angelico in un’immagine di forte impatto spirituale, divenuta punto di riferimento per opere successive.

Beato Angelico: Cristo come Re dei Re, 1447-1450, Tempera e oro su tavola cm 55 × 39, Livorno, cattedrale di San Francesco
Nelle tavole realizzate per corporazioni, ospedali, spazi conventuali e ambienti domestici, Angelico e i suoi seguaci svilupparono due filoni iconografici distinti ma complementari: l’immagine isolata di Cristo, rivisitata dall'Angelico con spiccata attenzione al naturalismo fiammingo (nella tavola presso la cattedrale di San Francesco a Livorno), e la Madonna dell’Umiltà. Nella ripresa di questo soggetto, la Vergine è raffigurata seduta in terra, in contrasto con i troni maestosi delle pale d’altare. Diffusa già nel Trecento, questa iconografia traduceva in immagini accessibili il tema dell’umiltà mariana, caro all’ordine domenicano. Elementi come l’hortus conclusus, il giardino recintato simbolo della purezza della Madonna, gli angeli reggicortina, drappi preziosi e iscrizioni bibliche fondono il linguaggio teologico con motivi di splendore cortese, esaltando insieme umiltà e regalità. Tra le interpretazioni più intense del soggetto eseguite dall'Angelico, spicca la Madonna dell'Umiltà e cinque angeli conservato a Barcellona (Tempera e oro su tavola; cm 98,6 × 49,2 Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya, prestito a lungo termine dalla Collezione Thyssen-Bornemisza, Madrid). Il dipinto costituisce uno dei primi esperimenti angelichiani sul tema. Le proporzioni corte e arrotondate dei personaggi hanno indotto a datare l’opera alla metà degli anni Venti del Quattrocento.
L’Annunciazione è uno dei temi più celebri di Angelico, declinato in tavole, oltre che negli affreschi di San Marco e, spesso, nelle sezioni superiori dei polittici. Tre le pale dell’Annunciazione superstiti del frate pittore: la prima realizzata per San Domenico a Fiesole (1425-1426 circa), oggi al Prado, l’Annunciazione di San Giovanni Valdarno (1432- 1435 circa), quasi certamente destinata al convento dei francescani osservanti di Montecarlo e, infine, l' Annunciazione eseguita a Cortona per il Museo Diocesano del Capitolo (1434 circa).
Tra le commissioni più importanti affidate all'Angelico il Trittico di Cortona (1437 circa), l'opera richiesta ad Angelico dal più ricco mercante di Cortona, ser Giovanni di Tommaso di ser Cecco, membro della confraternita laicale di San Domenico che affida ad Angelico un trittico con la Vergine col Bambino e i santi protettori della famiglia. Il formato, di tradizione tardogotica, è studiato per armonizzarsi con il trittico del pittore senese Sassetta sull’altare opposto. Lo stesso formato ricorre nella Pala di Perugia (1437-1443), dipinta da Angelico per Elisabetta Guidalotti e destinata alla cappella di famiglia in San Domenico a Perugia, simile a quello della Pala di Fiesole (prima della trasformazione di Lorenzo di Credi del 1501).Prima ancora di essere pittore, Angelico è frate e la sua fede e la sua vocazione, religiosa e artistica, plasmano un’armonia di osservazione e di rappresentazione; grazie al suo temperamento riesce a istruire e ammonire l’osservatore, con una scrittura per immagini apparentemente di facile comprensione ma in realtà dotta e densa di riferimenti simbolico-teologici di tradizione medievale, talvolta in contrasto con gli orientamenti intellettuali di stampo estetico-umanistico propri della nuova élite come nel caso delle Annunciazioni.
Tra il 1445 e il 1455 Angelico alternò lunghi soggiorni a Roma a periodi a Firenze, vivendo tra gli anni più fruttuosi della sua carriera.
Chiamato da Eugenio IV, che aveva ammirato a Firenze gli affreschi di San Marco, decorò nel 1446 la cappella del Sacramento in Vaticano, oggi perduta ma nota forse grazie a disegni su pergamena purpurea e a opere ispirate a quel ciclo, come il Trittico del Giudizio universale.
Dopo un intervallo come priore a Fiesole (1450-1452), Angelico tornò a Roma, dove per Niccolò V affrescò la cappella Niccolina (1448), dedicata ai protomartiri Stefano e Lorenzo: un manifesto dell’umanesimo cristiano, in cui architetture ispirate all’antica Roma e alla “nuova Roma” fiorentina incorniciano episodi di carità e martirio.
In quegli anni Angelico lavorò anche per il cardinale Juan de Torquemada, insigne teologo domenicano, autore di un vasto programma iconografico a Santa Maria sopra Minerva, per il quale Angelico dipinse due tavole con la Crocifissione, oltre a una pala e altre opere oggi perdute.
Alla morte, il 18 febbraio 1455, Angelico fu sepolto alla Minerva, celebrato come “secondo Apelle” e “gloria dei pittori”, appellativi che ne sancirono la fama eterna.
Per Cosimo de’ Medici Angelico realizzò opere fondamentali per la sfera privata e pubblica della famiglia. Alla morte del committente, il legame con l’artista fu raccolto dal figlio Piero “il Gottoso”, che intorno al 1450 gli affidò la decorazione dell’Armadio degli Argenti alla Santissima Annunziata: trentacinque tavole con scene della vita di Cristo, destinate a custodire preziosi ex voto, in cui la minuzia narrativa si unisce alla monumentalità delle prove romane, arricchita da riferimenti fiamminghi e classici cari al gusto di Piero.
Alla stessa fase appartiene la Pala di Bosco ai Frati, per il convento francescano in Mugello, terra d’origine della dinastia, in cui i santi Cosma e Damiano alludono ai patroni medicei; la presenza di san Bernardino nella predella la colloca dopo il 1450, anno della sua canonizzazione.
Foto di copertina: Beato Angelico, Madonna dell'Umiltà e cinque angeli (dettaglio), 1425 circa. Tempera e oro su tavola cm 98,6 × 49,2
Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya, (prestito a lungo termine dalla Collezione Thyssen-Bornemisza, Madrid)