Giuseppe Palizzi: Bosco di Fontainebleau

Ottocento alla GNAMC di Roma

Chiara Stefani, storica dell’arte (Ministero della Cultura) e responsabile della collezione dell’Ottocento presso per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, in questo breve filmato presenta il dipinto “Bosco di Fontainebleau” (1874), dell’artista abruzzese Giuseppe Palizzi (1812–1888).

La tela appartiene alla maturità dell’artista, un’epoca in cui il pittore, protagonista della tecnica “en plein air”, torna a riflettere su tematiche paesaggistiche care alla produzione giovanile 

Il dipinto fu esposto nel 1874 al Salon parigino con il titolo “La foresta” e nel 1877, fu presentato all’Esposizione Nazionale di Napoli dove ottenne il Primo premio. La grande tela, di oltre due metri per tre, viene subito acquistata dallo Stato per essere destinata alla nascitura Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Nelle prime opere che Palizzi dedicava alla sua amata Fontainebleau prediligeva soggetti paesaggistici animati da presenze di case, uomini e animali al lavoro che vivevano una esistenza serena e lontana dal fermento cittadino. In seguito, come in questo quadro, l’artista inizia a concentrare l’attenzione su motivi compositivi come la fitta trama del bosco e della vegetazione. 
Per esaltare la composizione del “Bosco di Fontainebleau”, Palizzi recupera lo schema classico prospettico, quasi centrale e dispone quinte arboree digradanti attraverso le quali, dal fondo al primo piano, emergono bagliori di luce filtrata. 

La composizione diventa quasi “magnetica” nel guidare ed invitare lo sguardo dello spettatore ad entrare nell’opera

La nitida descrizione dei tronchi e delle fronde nel primo piano, inoltre, sottolinea la maestosità di una natura ancora romantica, enfatizzata anche dal grande formato della tela, insolito nella produzione paesaggistica “en plein air” del secondo Ottocento. 
Per capire a fondo l’iter di questo pittore abruzzese è interessante risalire alle sue origini formative.

Palizzi fu tra i primi pittori italiani che, nell’Ottocento, viaggiò verso il nuovo centro dell'arte, una Parigi dove abitò tutta la vita per cogliere le novità della pittura moderna 

Fratello maggiore dei pittori Filippo, Nicola e Francesco Paolo, il giovane Giuseppe lasciava presto la facoltà di Giurisprudenza per trasferissi, da Lanciano, paese d’origine, a Napoli dove negli anni Trenta iniziava a studiare pittura al “Real Istituto di Belle Arti”.
Nella vivace capitale del Meridione affollata di artisti e scuole locali, Giuseppe frequenta i corsi del paesaggista olandese Anton Sminck van Pitloo (1790–1837), residente a Napoli dal 1816 e dagli anni Venti dell’Ottocento, fondatore della “Scuola di Posillipo”. 

In un fiorente atelier presso il quartiere di Chiaia, Pitloo sperimentava una nuova pittura di paesaggio realizzata all'aria aperta, “en plein air”, appunto

Dal 1825, per dieci anni circa, Pitloo istruì nel Meridione una nuova generazione di artisti per inalzare un genere considerato minore, rispetto alla “pittura di storia” e recuperare una maggiore libertà espressiva, in linea con gli aggiornamenti europei del paesaggio romantico inglese e naturalista francese. Dopo la morte di Pitloo, Palizzi frequenta i corsi del successore, Gabriele Smargiassi (1806–1876), del quale diverrà amico e privatamente, anche quelli di Salvatore Fergola. 
Questi esponenti della “Scuola di Posillipo” accolsero le nuove istanze luministiche degli artisti stranieri presenti a Napoli. Tra i nomi più importanti, l’inglese William Turner (I segreti di William Turner), in città tra il 1819 e il 1828, il francese Camille Corot (1796–1875), rappresentante dei paesaggisti della “Scuola di Barbizon” e il norvegese Johan Christian Dahl (1788–1857), autore di vedute napoletane di vivace espressività (Paesaggisti del nord Europa d'après nature).
In questi anni, Palizzi espone a varie Biennali borboniche: dal 1837, alcune sue Vedute, tra cui anche un paesaggio, di “storia”, furono acquistata dal re. Tuttavia, i rapporti con l’Accademia peggiorarono fino a quando, deluso per la rivalità di alcuni colleghi, decise di trasferirsi a Parigi e aprire il suo primo atelier in terra straniera.

Nel 1844, il fratello Filippo lo accompagnò all’imbarco per Marsiglia 

Come testimoniano fonti d’epoca, Palizzi partecipò al clima intellettuale parigino e già un anno dopo il suo arrivo, rivoluzionò i pennelli. Di tanto in tanto, faceva delle brevi visite in Italia, spostandosi tra Roma, Firenze e Napoli, luoghi di cui restituì le immagini. 
A Parigi frequentò per qualche tempo l’atelier di Constant Troyon (1810–1865), pittore di Barbizon, villaggio a sud di Parigi, presso la foresta di Fontainebleau e luogo prediletto dai Barbisonniers che, dagli anni Trenta al Cinquanta circa, rivoluzionarono il genere del paesaggio immergendosi nella natura senza alcun preconcetto. Barbizon era un ampio territorio di campi, foreste e paludi animati da greggi e contadini; il gruppo di pittori si installò in uno spartano alberghetto per poi portare la loro attrezzatura all'aperto e dedicarsi alla pittura en plein air.
Barbisonniers restituirono i primi paesaggio "veri", animati da personaggi d'umile estrazione visti nella loro quotidianità. Leader del gruppo, Théodore Rousseau (1812-1867), assieme a Charles Dupré, Charles-François Daubigny e tanti altri pittori che attuarono il nuovo Realismo in nome di una presa di posizione culturale ed ideologica. La riproduzione di una realtà nè abbellita nè edulcorata, ma a volte brutta e sgradevole, chiamava in causa la coscienza dell'artista, la sua partecipazione ai problemi sociali dell'epoca attraverso il coraggio di un'obiettività di analisi priva di sovrastrutture. Palizzi fu fortemente influenzato da questi pittori e stabilì saldi rapporti di amicizia. 

Palizzi visse un'esperienza molto intensa, ma a volte non facile

Tuttavia, riuscì ad ottenere il permesso di costruire una “pagliara” nella foresta di Fontainebleau per ripararsi in caso di maltempo o riposare, senza allontanarsi da luoghi che diventavano sempre più il soggetto prediletto delle sue moltissime tele. 
In Francia riuscì pian piano ad affermarsi con le prime vendite sia pubbliche, sia private; il successo fu confermato anche dall’interesse di vari collezionisti, tra questi, la famiglia D’Atri che risiedeva a Parigi e possedeva molti suoi dipinti.
Orami parte del gruppo dei Barbisonniers, Charles Blanc, direttore del Dipartimento delle Arti del Ministero degli Interni, nonché protettore di questi paesaggisti, si adoperò perché lo Stato francese acquistasse un suo paesaggio al Salon del 1848, dove Palizzi fu premiato con una Medaglia d’Oro. Dall’anno successivo, gli fu concesso di partecipare ai Salons senza dover sottostare al giudizio di una giuria.
Palizzi partecipò anche all’Esposizione Universale di Parigi del 1855, ma non ci sono tracce di una sua visita al discusso “Padiglione del Realismo” aperto in quell’occasione da Gustave Courbet (1819–1877), proprio di fronte a uno degli ingressi dell’evento.
Nel 1859, l’artista ottenne la Legion d’Onor, un importante riconoscimento ufficiale al quale ne seguirono altri. Nel 1867, venne incaricato di far parte della Commissione reale per l’ordinamento della Sezione italiana alla nuova Esposizione Universale di Parigi. Con l’avvento di Casa Savoia, nel 1878, venne nominato Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia.

Negli anni Sessanta Palizzi è un artista affermato e benestante, con un atelier elegante in uno chalet in rue Amsterdam 

L’artista continuava ad esporre ai Salons riscuotendo notevole successo; la sua ultima presenza sarà nel 1887, l’anno prima di morire.
Da una lettera del 1884, sappiamo che Palizzi stava preparando un viaggio per Ginevra. Tre anni dopo, acquisterà, ristrutturerà una casa con giardino a Marlotte, residenza che non riuscì a godere, in quanto, si ammalò e morì, assistito dal fratello Filippo, il 1° gennaio del 1888.

FOTO DI COPERTINA 
Giuseppe Palizzi, Bosco di Fontainebleau, 1874, olio su tela, 232x320cm., Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea (GNAMC), Roma