Lina Bo Bardi, alcune opere

 L'architettura di Lina Bo Bardi è stata intesa come servizio collettivo e impegno civile, libera dai dettami di una scuola di pensiero; un'architettura moderna e antica allo stesso tempo, popolare, vernacolare e colta, artigianale e non industriale, rispettosa delle tradizioni ma anche innovativa.

Achillina Bo, detta Lina, è stata un’architetta, designer, scenografa, artista e critica italiana naturalizzata brasiliana. Nasce a Roma nel 1914. Si laurea in architettura all’Università La Sapienza di Roma nel 1939, l’anno successivo si trasferisce a Milano, dove sarà fondamentale il suo incontro con Gio Ponti. Collabora con riviste di architettura e di costume, tra cui Lo Stile che Ponti fonda nel 1941(insieme al gruppo di lavoro formato da Gio Ponti, Enrico Bo e Carlo Pagani), Grazia, L’Illustrazione Italiana, Tempo, con l’obiettivo di diffondere la cultura dell’abitare promossa dal Movimento Moderno. Nel 1944 con Carlo Pagani è co-direttore di Domus. Nel 1945 i due fondano e dirigono la collana Quaderni di Domus e, con il sostegno di Bruno Zevi, creano il settimanale A-Attualità, Architettura, Abitazione, Arte. Lina Bo Bardi partecipa alla resistenza ed è tra i fondatori del Movimento Studi Architettura (MSA).
Nel 1947, con suo marito Pietro Maria Bardi (critico, storico dell'arte, giornalista e gallerista) abbandona l’Italia per trasferirsi definitivamente in Brasile. Bardi era stato invitato dal giornalista e magnate della stampa Francisco de Assis Chateaubriand a dirigere il Museu de Arte de São Paulo (MASP), il più importante museo dell’America Latina,  di cui Lina disegnerà la facciata nel 1947 e il progetto di ampliamento tra il 1956 e il 1968: un grande parallelepipedo di calcestruzzo e vetro che appare come sospeso nel vuoto, sollevato da terra di 8 metri, sorretto da due giganteschi pilastri rossi. Il museo è concepito come un luogo fatto per la gente, con i suoi spazi aperti, le pareti mobili, i supporti trasparenti circondati da ambienti di relazione e di incontro che favoriscono il dialogo sociale. Dopo la sua inaugurazione il museo diventerà uno dei punti di riferimento più iconici dell'architettura paulista brasiliana.
Insieme al marito, nel 1950 fonda una rivista dal nome emblematico: Habitat. Tra i suoi oggetti più noti si annovera la Bowl Chair, progettata nel 1951, la Casa de Vidro, da lei stessa disegnata. La casa è costruita su una collina e si presenta come una scatola di vetro modernista immersa nella foresta tropicale, che nel tempo si è integrata completamente nel paesaggio. In questa opera, come poi nel MASP e in molte altre successive, spicca uno dei motivi predominanti della poetica di Bo Bardi, in forte anticipo sui tempi: il rapporto tra natura e architettura, che nei suoi interventi si configurano sempre come elementi paritetici e comprimari, rapportandosi tra di loro in modo dialettico e osmotico. Oggi la Casa de Vidro è la sede dell'Instituto Bardi.
Bo Bardi tratterà ancora altre volte il tema dell’abitazione monofamiliare, come nella Casa di Valeria Cirell (1958) o nella Casa do Chame-Chame (1959), purtroppo demolita nel 1984. Alla fine degli anni ’50 Bo Bardi inizia un periodo di vita e di lavoro durato oltre cinque anni a Salvador di Bahia, dove tiene una serie di conferenze alla School of Fine Arts della Bahia University nel 1958.
Oltre a moltissimi allestimenti e scenografie teatrali, l’opera architettonica di Lina Bo Bardi a Salvador include anche la ristrutturazione del Solar du Unhão per adibirlo a sede del nuovo Museu de Arte Moderna da Bahia MAMB (Museo di Arte Moderna di Bahia) e il Museo di Arte Popolare (1959-1963), il teatro Gregório de Matos (aperto al pubblico nel 1986), la Casa do Benin (1987) e il restaurante Coatì nel quartiere della Ladeira da Misericordia (1987-1990).
Tra il 1977 e il 1986 progetta il centro sociale SESC - Fábrica da Pompéia a San Paolo, gigantesco centro sociale, ricreativo, culturale e sportivo, con teatri, biblioteche, laboratori fotografici, per la ceramica e per altre attività artistiche, studi musicali e spazi per la danza, con campi da basket e altri sport di gruppo, adattando recuperando e  intervenendo con nuove strutture in una vecchia fabbrica di fusti di petrolio.
Durante i suoi ultimi dieci anni di vita lavora a numerosi progetti mirati al rinnovamento dell’architettura brasiliana, tra cui il Teatro Oficina (1980-1994), che sovverte le gerarchie spaziali del teatro borghese: non esistono più confini tra gli interpreti, collocati in una sorta di corridoio allungato centrale, e il pubblico che occupa una struttura di ponteggio che lo sovrasta. Con questo lavoro Lina si avvicina più che mai all’idea di architettura che aveva indagato e che si era sforzata di mettere in pratica lungo tutta la sua carriera.