Capogrossi. Dietro le quinte

Dal figurativo al segno: l'itinerario dell'artista in mostra alla Galleria Nazionale

Capogrossi, il primo che ha colto nel segno
Francesca Romana Morelli

A cinquant'anni dalla scomparsa di Giuseppe Capogrossi (Roma, 7 marzo 1900 – 9 ottobre 1972), la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ha celebrato l'artista, uno dei padri della pittura informale e dell’arte italiana del Novecento, con una importante mostra dal titolo Capogrossi. Dietro le quinte a cura di Francesca Romana Morelli, realizzata in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi.

L'esposizione alla Galleria Nazionale ha riportato a Roma l’opera dell’artista dopo oltre venti anni, con un itinerario che ne ripercorre l'evoluzione dal figurativo al segno, dando avvio alle iniziative in omaggio all’artista per questo anniversario nel contesto di un progetto articolato dal titolo Capogrossi. Il segno nei musei e nelle istituzioni italiane, su impulso del Presidente della Fondazione Guglielmo Capogrossi.

Fin da principio ho cercato di non contentarmi dell’apparenza della natura; ho sempre pensato che lo spazio è una realtà interna alla nostra coscienza, e mi sono proposto di definirlo. Al principio ho usato immagini naturali, paragoni o affinità derivate dal mondo visibile; poi ho cercato di esprimere direttamente il senso dello spazio che era dentro di me e che realizzavo compiendo gli atti di ogni giorno.
Giuseppe Capogrossi  

Alla Biennale di Venezia del 1954 Capogrossi è presente con una memorabile sala personale: è Giulio Carlo Argan, per primo a cogliere la specificità della ricerca dell'artista romano, l’isolata meditazione sul valore dello spazio. Convinto che l’arte è un “atto della coscienza”, dopo avere visitato l’esposizione scrive in privato all’artista “Tra i pittori d’oggi tu sei uno dei pochi che si preoccupano assai più della forma che del quadro; e si rendono conto che, per salvare la prima, può essere necessario e mette comunque conto di sacrificare il secondo (…) Perciò io penso che la tua posizione, anche se qualcuno possa giudicarla ostinatamente appartata e astrattamente contemplativa, sia generosa ed umana.(…) Fa sempre piacere ritrovare nella pittura di un amico le sue più autentiche qualità morali; e di questo, non d’altro.” 


Giuseppe Capogrossi: Paesaggio invernale, 1935, olio su tela - Collezione UniCredit

In mostra, una selezione di oltre trenta dipinti e una ventina di opere su carta provenienti dalle collezioni della Galleria Nazionale, sede del più cospicuo nucleo di opere dell’artista, dalla Fondazione Archivio Capogrossi e da collezioni private. Completano l’esposizione documenti d’archivio provenienti dai fondi documentari dell’artista conservati nell’Archivio della Galleria e presso la Fondazione, come ritratti fotografici di Capogrossi con personaggi di spicco dell’epoca, cataloghi di mostre, riviste, lettere e articoli di giornale, che ricostruiscono le relazioni intessute dall’artista.

Come sottolinea la curatrice Francesca Romana Morelli “la mostra è un excursus che intende stabilire un serrato dialogo tra la prima stagione pittorica dell’artista, culminata nel periodo tonale, con la fase successiva, in cui le opere funzionano come le tessere di un puzzle, che una volta incastrate tra di loro, senza seguire un ordine cronologico, ma piuttosto assonanze nella struttura compositiva, rendono visibile l’autentica fisionomia saturnina dell’artista, che fin dagli anni Trenta, filtra la sua pittura con una logica e un rigore mentale, mostrando di essere sempre in ascolto di sé stesso e in costante osservazione del mondo esterno, rimanendo fuori da rotte consolidate”.

Tra le opere in mostra, una selezione di dipinti non esposti da lungo tempo come l’iconica Superficie 274 (1954) e Autoritratto con Emanuele Cavalli (1927 circa), in cui l’artista raddoppia sé stesso attraverso il ritratto del sodale Emanuele Cavalli, che spunta da dietro le sue spalle. Il Paesaggio invernale (1935), ripreso dalla terrazza in cima a una palazzina di Prati, dove Capogrossi aveva il suo studio, ma anche inteso come pura e desolata messa in scena della vita umana (di proprietà di UniCredit). Inoltre, una straordinaria Superficie 76 bis (1954-1958) i cui segni si dispongono in modo articolato, creando degli spazi vuoti che hanno un peso determinate nella struttura compositiva; l’essenziale ed enigmatica Superficie 538 (1961), caratterizzata da un piano nero che si incardina su rapporti e forze in atto nello spazio, potenziati dalle proprietà del colore e da sottili gradi di luminosità e di opacità dei pigmenti neri, interrotti diagonalmente da una fenditura bianca, su cui esercita una forza dinamica la combinazione di segni neri e di più grandi arancioni. Infine, Superficie 419 (1950 circa), imponente marouflage verticale il cui carattere bidimensionale è accentuato da una griglia su cui poggiano i segni grandi, che impongono un ordine ai segni più piccoli, e Superficie 106 (1954) opera di forma ovale, intesa dall’artista come una forma continua, che contiene
al suo interno una struttura compositiva in cerca di un raccordo con la dimensione visiva-sonora dello spazio esterno. Queste due ultime opere sono appartenute ai famosi architetti Luigi Moretti e Vincenzo ed Edoardo Monaco, che hanno avuto un ruolo determinante nella vicenda artistica e umana di Capogrossi.


Giuseppe Capogrossi: Superficie 600, 1960, olio su tela – Galleria Nazionale  

Il percorso espositivo è arricchito da una sala di opere dal formato ovale e una sala di Rilievi bianchi, ideati dall’artista negli anni Sessanta, che dimostrano la sua inesauribile volontà di sperimentazione. Non ultimo, il grande arazzo Astratto (1963), ideato per la Turbonave Michelangelo.

Capogrosssi. Dietro le quinte, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea - Roma
dal 21 settembre al 6 novembre 2022

In copertina: Giuseppe Capogrossi: Le due chitarre (verso), 1948, olio su tela – Galleria Nazionale