"Nico, 1988", figlia inquieta del dopoguerra tedesco

Storia di una bellezza autodistruttiva

Il film è un gioiello, sono rimasto sorpreso che un prodotto del genere sia uscito dal cinema italiano di solito autoreferenziale, ombelicale: fosse stato prodotto negli Usa sarebbe diventato un cult, quindi tanto di cappello alla regista e alla produzione italiana
Gabriele Lunati

Gabriele Lunati non usa mezze misure nel dare il suo parere su Nico, 1988, diretto da Susanna Nicchiarelli nel 2017. Marketing manager nel campo della moda e autore della prima biografia italiana dedicata a Christa Päffgen, in arte Nico, Lunati ha l’autorevolezza per dare un giudizio completo sulla cantante ed ex modella tedesca, della quale ricorda la sua atipica bellezza, impossibile da non notare, refrattaria ai compromessi estetici della moda di allora: una condizione che la segnò per tutta la vita, fino a spingerla all’autodistruzione. 

Il film è coprodotto da Tarantula, Rai Cinema e la Vivo Film di Marta Donzelli e Gregorio Paonessa. Quest’ultimo era a Bolzano a seguire le riprese di Vergine giurata, quando ricevette da Nicchiarelli un breve soggetto che raccontava gli ultimi anni di vita di Nico: un progetto che Nicchiarelli teneva nel cassetto da dieci anni, timorosa che nessuno in Italia si sarebbe mai cimentato nella realizzazione di un film sulla cantante. Conoscendo la bravura e la competenza della regista romana e innamoratosi subito della storia, Paonessa chiese a Nicchiarelli di scrivere immediatamente una sceneggiatura poi finita sulla scrivania di Paola Malanga, responsabile produzioni di Rai Cinema, che una domenica mattina chiamò Paonessa per dare la sua adesione. 

La prima cosa da fare per Nicchiarelli fu scegliere a chi affidare il ruolo della protagonista e la scelta cadde su Trine Dyrholm, attrice ed ex cantante danese, bravissima nell’interpretare Nico anche sul palco. John Gordon Sinclair, che Paonessa ricorda come uno degli attori più simpatici con cui abbia mai lavorato, è Richard, il manager di Nico, che nella realtà si chiamava Alan Wise, deceduto poco prima dell’inizio delle riprese: una figura, quella di Wise, che Nicchiarelli ha preferito edulcorare in una delle rare licenze narrative che la regista si è concessa, vista l’influenza negativa che Wise ebbe sulla cantante. Altro attore straordinario è il nostro Thomas Trabacchi, qui Domenico Petrosino, musicista toscano meglio conosciuto come Dome La Muerte, il quale accompagnò Nico nelle sue tournée italiane. 

A proposito dei suoi concerti, Massimo Palma, altro saggista cimentatosi sulla vita di Nico, fra i numerosi complimenti che fa a Nicchiarelli mette anche quello riferito a una sequenza che lui definisce “iperreale”: il concerto di Praga dove Nico/Dyrholm canta in piedi incitando e scatenando la platea. In realtà nelle sue performance live Nico inforcava occhiali scuri e sedeva per tutto il tempo suonando il suo harmonium: la cantante non ha mai avuto un atteggiamento partecipativo, sembrava mostrare ostilità verso il pubblico e chi la vide durante i tour italiani, come ad esempio nel 1983 al Suburbia di Perugia, conferma glacialità e indifferenza verso i fan accorsi ad ammirarla, anche a costo di stare seduti in terra per ore. 

Analizzando il profilo artistico di Nico, Palma ricorda che al cinema l’unico che ne fece un personaggio sorridente fu Federico Fellini ne La dolce vita; poi fu femme fatale per Andy Warhol, per finire fra le braccia del regista parigino Philippe Garrel con il quale ebbe una lunga relazione sentimentale, periodo caratterizzato dall’entrata nel tunnel delle droghe. Per Palma Nico è un personaggio che rappresenta le contraddizioni del Novecento: nata sotto il nazismo e cresciuta durante la Seconda Guerra Mondiale, come molti altri suoi connazionali, anche lei era rimasta scioccata da quello che aveva fatto il suo popolo, e questo trauma lo ha espresso come poetessa e artista mantenendo però alcune contraddizioni che Palma chiama “tic verbali”. Le capitava infatti di fare allusioni razziste, come ad esempio verso Lou Reed: “lo sapevo che non dovevo andare a letto con gli ebrei”. Palma sostiene che il suo è un “antisemitismo radicato nel problema tedesco”. Leonard Cohen, nel vano tentativo di sedurla, si accorse di questo problema. Nico aveva visto i treni della Shoah, aveva dato da mangiare a quei bambini che porgevano la mano dai vagoni, ma poi negli anni successivi cadde nel trabocchetto che gli aveva teso il destino e la Storia. Scrive nel suo diario: “nessun popolo sopravvive ai documenti della sua civiltà”, una frase riferita a se stessa che esprimeva il desiderio di non morire, ma che era stata coniata da Adolf Hitler. Era una tedesca devastata dal rimorso e dalla vergogna di quello che aveva fatto il suo popolo, ma anche piena di risentimento verso chi la faceva sentire in colpa. Nella metà degli anni ’70 Nico registra un album inserendoci l’inno tedesco nella sua originale interezza: quell’inno, che risale alla metà dell’Ottocento, aveva nella sua prima strofa allusioni che il nazismo aveva strumentalizzato per la propria ideologia, tanto da essere eliminata dopo il conflitto. Qualche anno dopo quell’inno Nico lo cantò a Berlino dedicandolo ad Andreas Baader, capo della Baader-Meinhof, le Brigate Rosse tedesche. 

Quanto al suo tramonto, Lunati si rammarica per la duplice ingiustizia che ha colpito Nico, in vita e anche nella morte, quest’ultima “così poco rock”: fosse entrata nel triste ma anche leggendario ‘club dei 27’, cioè gli artisti della sua generazione morti all’età di 27 anni, ora avrebbe un suo posto nell’olimpo dei miti del rock grazie alla sua presenza nel capolavoro omonimo dei Velvet Underground, il “disco con la banana”. Invece morì per una banale caduta da una bici all’età di 50 anni, né giovane né anziana, proprio quando aveva iniziato il percorso della disintossicazione e il riavvicinamento con il figlio avuto da Alain Delon, mai riconosciuto dall’attore, ma cresciuto dai genitori di quest’ultimo. 

Riguardo alla morte di Nico, Paonessa ha un aneddoto accaduto sul set: a Liegi la regista aveva girato alcune scene del funerale dove lo scenografo Igor Gabriel aveva ‘ricostruito’ la Parigi di fine anni ’80, ma al montaggio quelle sequenze vennero tagliate. La grande e pesante lapide, identica a quella originale presente nel cimitero di Berlino e che Gabriel aveva fatto costruire da un marmista della città belga, era stata sistemata su una collinetta talmente impervia che alla fine delle riprese fu lasciata lì, dove probabilmente è tutt’ora. Nico ha dunque due tombe, una guarda a est, l’altra a ovest.

Scheda del film
Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli - 2017 - 89’
Con Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Sandor Funtek, Thomas Trabacchi

Seconda metà degli anni ’80. Christa Päffgen, universalmente conosciuta con il nome d’arte di Nico (Dyrholm), è una cantante di culto per coloro che hanno amato la musica dei Velvet Underground e che riconoscono in lei un’artista fondamentale per la nascita del punk. Purtroppo i fasti e il successo che Nico ha avuto negli anni ’60 e parzialmente nei ’70 sono un pallido ricordo. Insieme al suo manager Richard (Sinclair) e ai componenti della sua band, fra i quali c’è l’italiano Domenico (Trabacchi), Nico gira per l’Europa a bordo di un Ford Transit suonando in locali di quart’ordine. La vita privata della cantante tedesca è ancora travagliata a causa della sua tossicodipendenza e per il  rimorso di aver abbandonato suo figlio Ari (Funtek); ma ora, seppur lentamente, Nico sembra risalire la china lasciandosi dietro il proprio passato.   

Produzione Tarantula/Rai Cinema/Vivo Film; distribuzione I Wonder Pictures. Uscita cinema 12 ottobre 2017 Prima tv Rai3 9 luglio 2019. Premio Orizzonti miglior film al Festival di Venezia; David di Donatello 2018 miglior sceneggiatura originale, trucco, acconciature e suono. Ciak d’Oro miglior sceneggiatura originale.  
 
Fonti
Gabriele Lunati Nico bussando alle porte del buio, Stampa Alternativa 2006
La Repubblica, 31 agosto 2017
Massimo Palma Nico e le maree, Castelvecchi 2019
Conversazione con Gregorio Paonessa, 5 novembre 2020
Conversazione con Massimo Palma, 7 novembre 2020
Conversazione con Gabriele Lunati, 9 novembre 2020
Testimonianza di Umberto Berlenghini, 18 novembre 2020 

Per gentile concessione della Direzione Comunicazione RAI