Le moto di scena dei film di Fellini
Dal Museo Sidecar di Costantino Frontalini
Il Museo del Sidecar, a Cingoli (Macerata), contiene una sezione dedicata al cinema ed espone circa 50 repliche dei più famosi motoveicoli apparsi sul grande schermo dagli inizi del cinema muto fino ai giorni nostri. A sua volta è suddivisa in varie sezioni che vanno dal grande cinema americano alla commedia all'italiana, la sezione del cinema di Fellini o la "battaglia" cinematografica tra Vespa e Lambretta, ed infine le "moto impossibili", veicoli fuori serie nati dalla fantasia dei registi e degli sceneggiatori.
La motocicletta è una costante nella produzione cinematografica di Fellini, presente in quasi tutte le sue opere. Nei suoi film il maestro riminese ha spesso raccontato sé stesso e le sue esperienze giovanili: uno dei primi ricordi della sua infanzia riguarda il triciclo e le ore passate a giocare con il fratello Riccardo. Prodotto dalla Giordani di Bologna, interamente originale, il triciclo del piccolo Fellini risale al 1925.
Il motocarro Guzzi Ercole, del 1950, è stato utilizzato nella rappresentazione teatrale de La Strada (1954), film con Anthony Quinn e Giulietta Masina dove il girovago Zampanò attraversa l’Italia con la sua donna e il suo motocarro Sertum, che usa anche come casa e palcoscenico per i suoi spettacoli. Dal film è stato tratto un balletto teatrale in cui viene utilizzato un motocarro simile, un Guzzi Ercole, anch’esso allestito secondo le esigenze sceniche.
Il motocarro Innocenti FD 125 C, del 1952, de Le notti di Cabiria (1957) dove Fellini racconta la miseria di una donna, Cabiria (interpretata da Giulietta Masina) che per sopravvivere è costretta a fare il mestiere più antico del mondo. Uno dei clienti di Cabiria si presenta a bordo di un motocarro Innocenti 125, un veicolo commerciale tipico degli anni ’50.
La mitica Vespa 125 del 1959, originale, utilizzata dai fotografi d’assalto per la sua praticità nel traffico di Roma, de La Dolce Vita (1960). Il film, diretto da Federico Fellini con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, è una pietra miliare nella cinematografia mondiale, e un vero e proprio fenomeno mediatico.
Il Gilera Saturno sidecar, del 1953, de I Clowns (1971), film che è una sorta di documentario in cui il regista rievoca la sua infanzia. Fellini è il bambino che vede il tendone del circo che sta per essere montato e i clowns gli ricordano alcuni personaggi che ha conosciuto nella realtà. Tra questi un capostazione molto preso dal suo ruolo e un ufficiale che gira a bordo di un sidecar Gilera.
In Roma (1972), tra le altre, troviamo una Laverda 750 S, del 1970. Il film è un ritratto della capitale negli anni ’30 vista dagli occhi di un giovane di provincia che arriva alla Stazione Termini. Nel finale, ambientato negli anni ’70, un gruppo di motociclisti, visti come i nuovi “Barbari”, invadono le vie di una Roma notturna e confusionaria mentre la Polizia cerca di riportare l’ordine.
C'è anche la Harley-Davidson WL 750, del 1932, di Amarcord (1973), il film più autobiografico di Fellini. Il regista ricorda il periodo della sua adolescenza in una Rimini caratterizzata da personaggi straordinari come il motociclista “Scurèza ‘d Corpolò” che sfrecciava per il paese cavalcando, appunto, la sua poderosa motocicletta. In pochi secondi Fellini consegna alla storia l’archetipo del motociclista: un personaggio mitologico che ricorda il centauro o il cavaliere, dai lineamenti poco chiari ma dalla grande imponenza.
Ne La città delle donne (1980) la motocicletta è utilizzata come simbolo della donna, sensuale ma poco comprensibile per l’uomo. Sul set la moto è una Guzzi 500 Superalce, del 1949.
Ne La voce della luna (1990), l’ultimo film di Fellini, Paolo Villaggio e Roberto Benigni inseguono i loro sogni e ascoltano la voce della luna che sale dai pozzi. Qui una donna lascia il marito per un motociclista che la chiama “dinamite pura”, un nomignolo che potrebbe tranquillamente dare alla sua Ducati Indiana 650 descritta da Fellini nella sceneggiatura originale come una “… mastodontica Harley-Davidson”.
La motocicletta è una costante nella produzione cinematografica di Fellini, presente in quasi tutte le sue opere. Nei suoi film il maestro riminese ha spesso raccontato sé stesso e le sue esperienze giovanili: uno dei primi ricordi della sua infanzia riguarda il triciclo e le ore passate a giocare con il fratello Riccardo. Prodotto dalla Giordani di Bologna, interamente originale, il triciclo del piccolo Fellini risale al 1925.
Il motocarro Guzzi Ercole, del 1950, è stato utilizzato nella rappresentazione teatrale de La Strada (1954), film con Anthony Quinn e Giulietta Masina dove il girovago Zampanò attraversa l’Italia con la sua donna e il suo motocarro Sertum, che usa anche come casa e palcoscenico per i suoi spettacoli. Dal film è stato tratto un balletto teatrale in cui viene utilizzato un motocarro simile, un Guzzi Ercole, anch’esso allestito secondo le esigenze sceniche.
Il motocarro Innocenti FD 125 C, del 1952, de Le notti di Cabiria (1957) dove Fellini racconta la miseria di una donna, Cabiria (interpretata da Giulietta Masina) che per sopravvivere è costretta a fare il mestiere più antico del mondo. Uno dei clienti di Cabiria si presenta a bordo di un motocarro Innocenti 125, un veicolo commerciale tipico degli anni ’50.
La mitica Vespa 125 del 1959, originale, utilizzata dai fotografi d’assalto per la sua praticità nel traffico di Roma, de La Dolce Vita (1960). Il film, diretto da Federico Fellini con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, è una pietra miliare nella cinematografia mondiale, e un vero e proprio fenomeno mediatico.
Il Gilera Saturno sidecar, del 1953, de I Clowns (1971), film che è una sorta di documentario in cui il regista rievoca la sua infanzia. Fellini è il bambino che vede il tendone del circo che sta per essere montato e i clowns gli ricordano alcuni personaggi che ha conosciuto nella realtà. Tra questi un capostazione molto preso dal suo ruolo e un ufficiale che gira a bordo di un sidecar Gilera.
In Roma (1972), tra le altre, troviamo una Laverda 750 S, del 1970. Il film è un ritratto della capitale negli anni ’30 vista dagli occhi di un giovane di provincia che arriva alla Stazione Termini. Nel finale, ambientato negli anni ’70, un gruppo di motociclisti, visti come i nuovi “Barbari”, invadono le vie di una Roma notturna e confusionaria mentre la Polizia cerca di riportare l’ordine.
C'è anche la Harley-Davidson WL 750, del 1932, di Amarcord (1973), il film più autobiografico di Fellini. Il regista ricorda il periodo della sua adolescenza in una Rimini caratterizzata da personaggi straordinari come il motociclista “Scurèza ‘d Corpolò” che sfrecciava per il paese cavalcando, appunto, la sua poderosa motocicletta. In pochi secondi Fellini consegna alla storia l’archetipo del motociclista: un personaggio mitologico che ricorda il centauro o il cavaliere, dai lineamenti poco chiari ma dalla grande imponenza.
Ne La città delle donne (1980) la motocicletta è utilizzata come simbolo della donna, sensuale ma poco comprensibile per l’uomo. Sul set la moto è una Guzzi 500 Superalce, del 1949.
Ne La voce della luna (1990), l’ultimo film di Fellini, Paolo Villaggio e Roberto Benigni inseguono i loro sogni e ascoltano la voce della luna che sale dai pozzi. Qui una donna lascia il marito per un motociclista che la chiama “dinamite pura”, un nomignolo che potrebbe tranquillamente dare alla sua Ducati Indiana 650 descritta da Fellini nella sceneggiatura originale come una “… mastodontica Harley-Davidson”.