Domenico Fazio. La rinascita degli studi vaniniani

La falsa accusa di plagio

Domenico Fazio, ordinario di Storia della Filosofia e Prorettore Vicario dell'Università del Salento, intervistato a Napoli, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, in occasione delle celebrazioni del 399esimo anniversario del rogo di Tolosa in cui trovò la morte Giulio Cesare Vanini (Taurisano, Lecce, 1585 - Tolosa 1619) accusato di empietà dall'Inquisizione, parla della rinascita degli studi vaniniani, dopo un lungo periodo di oblio dell'opera del grande filosofo salentino, dovuto ad una falsa accusa di plagio.
Su Vanini pesavano giudizi liquidatori molto forti espressi in particolare da Benedetto Croce, Giovanni Gentile e Guido De Ruggiero e solo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento si è assistito ad una rinascita degli studi vaniniani, per iniziativa di uno studioso pugliese, Antonio Corsano, che in un articolo del 1958 dichiarò che era arrivato il momento ricondurre il pensiero di Vanini al suo tempo storico, affrontandolo come un problema storico. Si è capito in seguito che Vanini, con la sua filosofia che non aveva potuto essere esplicita, a causa dell'Inquisizione, una filosofia che aveva dovuto nascondersi dietro contesti protettivi, che non aveva potuto essere chiara tanto da sembrare un plagio, rappresentava con la sua filosofia un momento di passaggio dal tardo Rinascimento al libertinismo erudito, un ponte tra la filosofia italiana e quella europea.

Hegel aveva detto che Vanini con la sua vicenda speculativa e con la sua morte rappresenta il conflitto che a un certo punto della storia del pensiero occidentale viene a verificarsi tra la ragione e la fede, con l'affermazione della ragione come più forte, e anche il nemico di Hegel, Arthur Schopenhauer, aveva sostenuto che Vanini era più facile bruciarlo che confutarlo. 

La filosofia di Vanini è una filosofia profondamente laica, che celebra la libertà del pensiero, non a caso Vanini pubblica le sue opere e fa attività di insegnamento presso i giovani, cosa che i libertini del suo tempo non facevano, perché preferivano nascondersi nel loro retrobottega come diceva Montaigne.