Michele Capasso. L'ultima metafora

Ermeneutica e filologia intorno a un luogo hölderliniano

L'intervento di Michele Capasso alla X Edizione 2018 della Scuola estiva internazionale di alta formazione filosofica (International summer school of higher education in philosophy, École d’été internationale en philosophie) “Metafore: figure dell'alterità”, fondata da Elio Matassi, Castelsardo (Sassari).
In un profilo ideale di Peter Szondi (1929-1971) non potrebbero certo mancare questi nomi: critico letterario, traduttore e teorico della traduzione, comparatista, storico della letteratura, filosofo.
D’altra parte, di questa ricerca, è sintomatica anche la scelta della costellazione eletta a topos d’indagine privilegiato: romanticismo, Goethezeit e idealismo speculativo. Qui Szondi guarda come a un luogo storico di decisioni formali in cui è possibile ravvisare quello che stava – e aggiungiamo sta – accadendo nello spazio delle scienze umane. In quel grande movimento di forme – figure dell’alterità? – era ancora possibile lo scambio tra pratica letteraria e speculazione filosofica, dove «l’astrazione dalla prassi aveva il compito di introdurre alla prassi stessa.
In particolare, la nostra proposta si focalizzerà su una questione di natura squisitamente ermeneutica – dove in gioco è lo stesso modo di intendere questa pratica/disciplina. Ricaveremo questo problema dal commento di Szondi a un verso di Friedensfeier, nota poesia di Hölderlin. Lo studioso di origini ungheresi si chiede se esso possa essere inteso come una metafora.

Dietro la polemica filologica (e con una certa filologia di matrice positivista) Szondi fa emergere il quadro di pratiche che si legittimano a partire da presupposti indiscussi (e in alcune sedi indiscutibili). Non si tratta soltanto di capire se c’è o meno una prova, ma di capire come si costruisca l’esigenza di una prova. L’esigenza di cercare una prova attraverso la ricorrenza in luoghi paralleli ostruisce del tutto l’accesso alla soggettività della poesia, alla sua singolarità: «le testimonianze affini si rafforzano reciprocamente, espellendo invece il caso isolato.

Lo spazio dell’individuale adombrato in un’osservazione apparentemente soltanto tecnico-formale è la traccia su cui la critica può ritrovare il contenuto di verità di un’opera e il rivelarsi del suo indice storico.

Michele Capasso, dottore di ricerca in Filosofia, ha insegnato Storia della Filosofia contemporanea e Filosofia del Linguaggio presso l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale. Studioso dell’idealismo tedesco e della sua ricezione nel Novecento, si occupa in particolare del rapporto tra filosofia, estetica e critica letteraria. Collabora stabilmente con Capware – Tecnologie per la Cultura, studio di progettazione nel campo dell’elaborazione di contenuti multimediali (editoria, mostre, eventi). Dal 2013 è direttore generale della Fondazione Meridies.
Tra le sue pubblicazioni: L’essere come ritorno. Apparenza e riflessione nella «Scienza della logica» di Hegel, in “Il Pensiero”, 2, Inschibbolleth, 2017, Parigi Capitale del XIX secolo, in “Leftwing”, 5, Editori Riuniti, Roma 2016, Beckett in America. «L’ultimo nastro di Krapp» e il teatro di Robert Wilson, in “Il Pensiero” 1-2, Inschibbolleth, 2015, L’immagine della critica. Sul «Concetto di critica nel romanticismo tedesco» di Walter Benjamin, in “Polemos. Materiali di filosofia critica e sociale”, 6-7, Stamen, Roma 2014, Così lontani, così vicini. Su ‘Pina’ di Wim Wenders, in “Italianieuropei”, 2, Roma 2012; Con Hegel oltre Hegel. Storicità delle forme e filosofia della storia in Peter Szondi, in “Polemos. Materiali di filosofia e critica sociale”, 4-5, Stamen, Roma 2011, pp; Hammlet. Sulla crisi della categoria di azione in S. Beckett, in “Polemos. Materiali di filosofia e critica sociale”, 2-3, Roma 2010. Herculaneum als Konstruktion. Von Goethe zur virtuellen Realität, in J. Mühlenbrock/D. Richter (Hg), “Verschüttet vom Vesuv. Die letzten Stunden von Herculaneum”, Mainz 2005.