Moni Ovadia. A che cosa serve l'arte?

Raggiungere la verità attraverso la finzione

Moni Ovadia cita Gigi Proietti quando dice: "Viva er teatro, dove tutto è finto ma niente c'è de farso". Lo statuto dell'arte, secondo Ovadia, sta anche in questo: che l'arte, attraverso una finzione, raggiunge una verità. L'arte è altro dalla bellezza, è l'estremo luogo possibile della verità più crudele proprio perché la conquista attraverso la pietas della finzione.

L'arte svolge un ruolo pedagogico perché mette l'essere umano in relazione con se stesso, presentando processi cognitivi che coinvolgono tanto la mente quanto l'emozione. 


Moni Ovadia nasce a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita. Dopo gli studi universitari e una laurea in scienze politiche ha dato avvio alla sua carriera d'artista come ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare di vari paesi. Nel 1984 comincia il suo percorso di avvicinamento al teatro, prima in collaborazione con artisti della scena internazionale, come Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Franco Parenti, e poi, via via proponendo se stesso come ideatore, regista, attore e capocomico di un "teatro musicale" assolutamente peculiare, in cui le precedenti esperienze si innestano alla sua vena di straordinario intrattenitore, oratore e umorista. Filo conduttore dei suoi spettacoli e della sua vastissima produzione discografica e libraria è la tradizione composita e sfaccettata, il "vagabondaggio culturale e reale" proprio del popolo ebraico, di cui egli si sente figlio e rappresentante, quell'immersione continua in lingue e suoni diversi ereditati da una cultura che le dittature e le ideologie totalitarie del Novecento avrebbero voluto cancellare, e di cui si fa memoria per il futuro.