Roberta de Monticelli. Agostino, Tommaso e la filosofia medievale

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Nato a Tagaste, una città dell’antica Algeria, nel 354, Agostino è uno dei più eminenti padri della Chiesa. Il suo interesse per la filosofia inizia a diciannove anni, dopo la lettura dell’Ortensio di Cicerone, testo che conteneva un’esortazione alla riflessione filosofica.

Dopo una vita ricca di avvenimenti mondani, e l’adesione per un breve periodo alla setta dei Manichei, Agostino scopre la fede sotto la guida di Ambrogio, vescovo di Milano, e abbraccia così la religione cristiana.

La sua conversione lo porta ad una riflessione filosofica originale che risente dell’influenza di alcune correnti, tra cui spicca il neoplatonismo. Quest’ultima suscita l’interesse di Agostino per la possibilità di conciliarsi, almeno su alcuni punti, con le dottrine del Cristianesimo.

Fra le altre, la tesi neo-platonica che definiva il male come privazione, assenza di essere, costituisce un punto fondamentale per la riflessione di Agostino. Su queste basi, la filosofia assume per lui il compito di un’indagine sull’essere; indagine che può effettuarsi solo rivolgendosi all’interiorità.

L’anima è infatti depositaria della verità che Dio stesso ha concesso all’uomo, pertanto solo un ripiegamento dell’individuo su stesso e solo grazie ad un’introspezione radicale la filosofia può raggiungere la propria meta.

Nella visione di Agostino, la ricerca filosofica si presenta come il corrispettivo razionale di un percorso di fede. Vi è insomma una compenetrazione tra fede e ragione che si è soliti ricondurre al duplice motto latino: “credo ut intelligam, intelligo ut credam”, ossia “credo per capire, capisco per credere”.