Identità e contraddizione nel pensiero di Emanuele Severino

Vincenzo Vitiello: dall'essere al dovere

Il filosofo Vincenzo Vitiello analizza il tema dell’identità e contraddizione nel pensiero di Emanuele Severino (Brescia 1929 - 2020). 
Vitiello inizia citando un aforisma di Hegel, che diceva che "il grand’uomo condanna gli altri uomini ad interpretarlo" ed afferma che Severino è stato davvero questo grand’uomo che ci ha condannato ad una pluralità di interpretazioni. 

Che l’identità sia il tema fondamentale di Severino è esplicito sin dalla sua prima opera, ma viene riconfermato in un dialogo di Severino con Hegel nel libro Tautótes, che significa identità. Severino si pone nei confronti dell’intera storia del pensiero in maniera polemica e considera proprio il tema dell’identità non trattato dalla filosofia.

All’identità viene sempre contrapposta la differenza e questo in maniera particolare nella trattazione del movimento. Il divenire è proprio il luogo in cui si realizza l’unità di identità e differenza. E questo significa per Severino che non c’è divenire, che nulla cambia e tutto è eterno. 

L’intero pensiero di Severino è una critica alla storia della filosofia (e alla storia dell’occidente), che viene considerata come un grande errore, come follia.  

Il divenire è quel pensiero contraddittorio per cui dal niente sorge qualcosa e qualcosa cade nel niente, che identifica essere e niente in una contraddizione assoluta. 
In Severino, senza che mai egli lo espliciti totalmente, c’è il primato dello spazio sul tempo, perché Severino pone come problema fondamentale del pensiero quello dell’assoluto, della totalità, dell’uno che si pone come elemento fondamentale per capire il molteplice.  
Noi possiamo pensare il tempo perché il presupposto fondamentale del tempo è lo spazio. Se noi consideriamo la totalità, che comprende tutto lo spazio, la totalità dell’assoluto, che è ciò che non ha altro accanto a sé, ciò che non dipende da altro, allora questa unità assoluta non può avere tempo. Kant dice che l’assoluto è il luogo dove tutto è già accaduto, nulla può accadere. Il pensiero dell’assoluto è il punto di partenza necessario del pensiero di Severino. 
La filosofia di Severino tratta dell’errare del pensiero nel movimento, nel tempo. Noi non possiamo mai avere l’apparire totale dell’infinito assoluto, perché il pensiero è sempre determinato e in questa determinazione il pensiero cade sempre nell’affermare dell’assoluto e dell’infinito qualcosa di determinato e di finito. E dall’altra parte l’infinito non si può mostrare che apparendo in una determinata forma. 
Ogni apparenza dell’infinito non è l’infinito e questa è la contraddizione C: si può pensare l’identità solo a partire da questa contraddizione, che è al di sopra delle contraddizioni particolari.

Tautótes è un dialogo con Hegel, perché per Hegel il problema del rapporto tra essere e nulla è superato: non abbiamo due termini, l’essere e il nulla, ma abbiamo un solo termine, che è la relazione tra i due e che costituisce la verità del mondo, la verità della nostra esperienza. 

Questa soluzione di Hegel però tace qualcosa di particolarmente importante. Quando Platone nel Sofista dice che il rapporto tra identico e diverso, tra quiete e movimento è un rapporto non rapporto, è un rapporto che è già sempre divenuto e mai iniziato. Ma nel momento in cui la quiete è tale solo se si differenzia dal movimento e il movimento è tale solo se si differenzia dalla quiete, noi dobbiamo trovare questa differenza e non possiamo rimandare tutto alla loro relazione, come fa Hegel, che pone il problema a soluzione del problema stesso.  
L’essere è quella determinazione del pensiero che si presenta come necessaria ed insieme si presenta come quello che noi non possiamo pensare. La totalità per essere tale deve essere l’insieme di tutte le parti, una totalità senza parte è un uno impensabile, è un’unità che non ha molteplicità. 
Quando vogliamo pensare il tutto come la totalità delle cose, quello spazio in cui già tutto è accaduto dobbiamo pensare al molteplice, che è la negazione dell’uno.  Ma se il molteplice può essere negazione dell’uno, non può essere la negazione del tutto, perché il tutto senza molteplicità non è tutto, è soltanto un uno vuoto, quindi, dobbiamo pensare la totalità come la totalità del molteplice, il molteplice è l’elemento interno della totalità, la totalità in sé è proprio l’involucro di tutto il molteplice. E il molteplice all’interno della totalità è il finito. Ma se il tutto è costituito dal molteplice e questo molteplice è finito, se consideriamo il tutto come la totalità delle parti, allora il tutto nel suo essere infinito è la totalità di tutte le finitezze. E allora l’infinito è la totalità delle incompiutezze. Ma questo non può reggere. Severino quindi ci ha portato al vero termine ultimo del pensare che è la "contraddizione C", l’identità delle cose smentisce la possibilità del pensiero del tutto.  
La coerenza fortissima della logica dell’essere di Severino è quella di mostrare che la totalità è contraddizione, la totalità vista nella prospettiva dell’infinito non può essere mai colta nella sua infinità vera perché non appare.  

Credo che Severino rappresenti veramente la conclusione di un’intera tradizione del pensiero occidentale. 

Vitiello cita in conclusione un pensiero del filosofo Bertrando Spaventa (Bomba, Chieti, 1817 - Napoli 1883), che a proposito di Hegel disse che nei veri filosofi c’è sempre qualcosa di cui non hanno consapevolezza e questo qualcosa è il germe della nuova filosofia.

Io credo di ereditare il pensiero di Severino nel suo germe più denso di futuro, considerando la necessità che la filosofia abbandoni il verbo essere in favore del verbo dovere.  

Si tratta non di cambiare modo di parlare ma modo di vivere perché la filosofia è un pensiero che si fa abito di vita. 
Kant rovescia la comune concezione secondo cui si deve perché si può , ma teorizza il dovere per il dovere, che apre alla libertà perché libero è il dovere e non il potere che invece è necessario.

La logica trascendentale non è la logica che enuncia, ma quella che si attua, il pensiero è pensiero in quanto è atto, la definizione morale della morale è l’attuazione. 

Questi miei pensieri che non rientrano nei temi di Severino sono debitori però del suo insegnamento: Severino si può onorare come maestro solo interpretandolo.  


Vincenzo Vitiello insegna Teologia politica all’Università “San Raffaele” di Milano. Ha tenuto conferenze, seminari e cicli di lezioni in Università e Istituti di Cultura europei ed extraeuropei. Suoi scritti sono tradotti in tedesco, spagnolo, francese, inglese, polacco. Nel 2012 l’Universidad Nacional de General San Martín di Buenos Aires gli ha conferito la laurea honoris causa in Filosofia. Pubblicazioni recenti: I tempi della poesia. Ieri / Oggi (Milano 2007; Madrid 2009); Ripensare il cristianesimo. De Europa (Torino 2008); L’ethos della topologia (Firenze 2013); L’immagine infranta. Linguaggio e mondo da Vico a Pollock (Milano 2014).