Massimo Iiritano. Pasolini e la filosofia
Del dolore di non essere completamente qualcosa
Una filosofia del linguaggio, nelle sue tante finissime riflessioni sulla lingua e sui dialetti, sul loro senso esistenziale e antropologico prima ancora che sociale e politico; una filosofia della politica, nei suoi straordinari scritti di opinione, che ne fanno uno degli intellettuali più notevole della storia del novecento; una filosofia del cinema, che ha consapevolmente teorizzato e analizzato nella sua valenza semantica e ontologica, come pochi; una filosofia morale e religiosa, agita con tenacia ed “eroico furore” in tante forme, dalla letteratura alla poesia al cinema.
Una ricerca e una proposta sul tema “Pasolini e la filosofia” deve dunque tentare l’ardua fatica di attraversare tutti questi sentieri e di intenderne, per quanto possibile, il senso profondo e il messaggio filosofico profondamente originale ad essi sotteso.
A parte (non tutti) i film, e a parte non molte poesie, romanzi, pieces teatrali, è difficile dire che Pasolini sia un autore che piace. (…) C’è in tutti i suoi scritti una vitalità e una attualità storico-esistenziale che mette in scacco i nostri pregiudizi sul valore letterario, sulla sua definitività e capacità di resistere al passare del tempo. (…) Non riusciamo mai a leggere Pasolini narratore e poeta prescindendo dalle sue vicende biografiche, dal suo modo di vivere (e morire) drammaticamente la sua diversità, dalla sua passione politica, insomma da tutta la sua problematica, e disturbante, attualità. (…) Eppure, la forza innovativa e sperimentale della sua opera è forse consistita proprio in questo ritorno ossessivo alla vitalità più impura
Gianni Vattimo, 24 settembre 1998
Non si lotta solo nelle piazze, nelle strade, nelle officine, o con i discorsi, con gli scritti, con i versi: la lotta più dura è quella che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti.
Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, 28 dicembre 1961
Io ho potuto fare il Vangelo così come l’ho fatto proprio perché non sono cattolico, nel senso restrittivo e condizionante della parola. (….) Ho potuto farlo così come l’ho fatto, perché mi sento libero, e non ho paura di scandalizzare nessuno; e infine perché sento che la parola d’amore (incapacità di concepire psicologicamente discriminazioni manichee, istinto di gettarsi al di là delle abitudini, sempre, sfidando ogni contraddizione), parola d’amore di cui è stato campione Giovanni XXIII, va considerata come un impegno nella nostra lotta.
Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, 28 dicembre 1961
L’ateismo di un militante comunista è fior di religione in confronto al cinismo di un capitalista: nel primo si possono sempre ritrovare quei momenti di idealismo, di disperazione, di violenza psicologica, di volontà conoscitiva, di fede – che sono elementi, sia pure disgregati, di religione – nel secondo non si trova che Mammona.
Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, 28 dicembre 1961