Vincenzo Costa. La società dell'ansia
Dalla società della competizione alla cultura della solidarietà
La nostra cultura produce ansia e cerca di generare legame e innovazione attraverso la creazione di soggetti ansiosi. C'è una perversione del desiderio alla base dell'ansia: l'esistenza ansiosa crede che una volta ottenuto il riconoscimento sociale l'ansia cesserà. Ma tanto più cerca il riconoscimento e l'approvazione per placare l'ansia tanto più si espone ad essa e ne diviene vittima, sicché l'ansia diviene un vortice da cui l'esistenza non sa più uscire.
Le nostre società sono caratterizzate da una crescita esponenziale dei disturbi psichici e in particolare dei disturbi di ansia, che colpiscono specialmente i nostri adolescenti e spesso li portano a tristi fenomeni di ritiro sociale. Vi è un nesso tra la crescita di questi disturbi e i fenomeni di disgregazione del legame sociale: la vita emozionale degli individui si disgrega perché si disgrega il tessuto sociale nel quale sono inseriti.
Un’ansia particolare è quella che si sta sviluppando negli adolescenti, che ricercano affannosamente il riconoscimento e il successo e, quando non riescono a raggiungerli, sviluppano sentimenti di vergogna di inettitudine e di vulnerabilità, che viene vissuta come una colpa. Accade che l’unica cosa che l’individuo può fare per proteggersi è ritirarsi dalla vita sociale.I disturbi di ansia si radicano nelle trasformazioni che sono intervenute nelle forme della relazione sociale, con il passaggio dall’essere insieme al sentirsi guardati e valutati da altri, quindi al sentirsi in competizione. Noi siamo una società della competizione e l’idea che viene diffusa anche nel mondo progressista tra gli adolescenti è che bisogna appropriarsi del sapere non per la propria crescita, ma per acquisire delle armi da usare contro gli altri, che non si manifestano più come compagni e amici, ma come avversari.
In tutti questi fenomeni un ruolo fondamentale è stato svolto dalle nuove tecnologie, ma si potrebbe dire meglio dal mondo della vita mediatizzato, perché i media non hanno più una funzione di mediare tra situazioni reali.
I ragazzi parlano con l’intelligenza artificiale perché non hanno altri con cui parlare e quindi sarebbe necessario far capire loro che non è vero che devono arrivare, fare strada, non c’è un posto in cui si deve arrivare se non nella propria vita.
Inoltre, bisognerebbe abbassare il tono su termini come resilienza o eccellenza, che generano sensi di colpa, producendo il ritiro sociale, mentre avremmo invece bisogno di una cultura della solidarietà.
Vincenzo Costa è professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia (triennale) e Fenomenologia dell’esperienza (biennio magistrale). Si è laureato in filosofia all'Università Statale di Milano con lode. Dopo la laurea ha ottenuto una borsa per l’estero presso l’Archivio-Husserl di Lovanio (1991-1992) e in seguito un dottorato presso l’Università Cattolica di Milano (1992-1996). È stato ricercatore di Storia della filosofia presso l'Università Cattolica di Milano e ha insegnato Storia della filosofia e Filosofia teoretica negli anni 2001-2005. Nel 2005 è divenuto Professore associato di Filosofia teoretica presso l’Università del Molise e professore ordinario nel 2014. Ha scritto molti saggi in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo, apparsi in numerose riviste e libri collettanei. Ha pubblicato 20 volumi, editato e co-editato molte traduzioni e volumi collettivi. Il suo ultimo lavoro è Psicologia fenomenologica (Els, Brescia 2018). Si occupa di Fenomenologia. Il suo principale ambito di interesse è la fenomenologia dell’esperienza, la fenomenologia esistenziale e la fenomenologia della psichiatria. Altri ambiti di interesse sono relativi alla filosofia del consumo e alla teoria delle élite.