Carmelo Bene: l'Ulisse di Joyce mi ha cambiato la vita

Un'intervista di Antonio Debenedetti

Intervistato da Antonio Debenedetti nel 1988, Carmelo Bene (Campi Salentina, Lecce 1937 – Roma 2002) parla del suo rapporto con l’Ulisse di James Joyce. Il filmato è tratto dal programma Una sera un libro del 1988. Letto per la prima volta a ventidue anni, il romanzo ha avuto un effetto dirompente sull’attore: ha modificato le sue emozioni musicali e i suoi concetti di timbrica, gli ha sconvolto il linguaggio, gli trasformato la vita. Nell’Ulisse, la cui edizione completa fu pubblicata per la prima volta nel 1922, ci troviamo di fronte ad un “pensiero dell’immediato”, ad un “immediato pensiero”, che, dice Bene, “non pare scritto, ma sottratto alla scrittura stessa”. L’intervista prosegue parlando della genesi e della natura dell’Ulisse. Che cos’è questa “moderna Odissea”? 

L’Ulisse è soprattutto grandissimo cinema, immagini create dall’ elettricità della lingua che si arrende ai significanti, si rende, ne crea degli incroci continui da cui non si esce e i personaggi non esistono.

Carmelo Bene (1937-2002) è stato un profondo innovatore dei linguaggi del teatro contemporaneo, oltre che uno straordinario interprete e una delle voci più originali della scena culturale italiana. Figlio di genitori umili ma benestanti - i genitori sono proprietari di un'industria manifatturiera di tabacco - riceve fin dalla prima infanzia un'educazione di impronta fortemente religiosa, dovuta soprattutto alla fervente fede della madre, tuttavia se ne distacca fino a giungere a un profondo rifiuto per tutta la morale e la dottrina cattolica. Dopo gli studi classici, che svolge in collegio presso i Gesuiti, si traferisce a Roma per frequentare l'Accademia d'Arte Drammatica, ma l'abbandona dopo un anno. Il suo debutto in scena risale al 1959 quando, appena ventiduenne, interpreta il ruolo di protagonista nel Caligola di Albert Camus.Si allontana quasi subito dalla concezione classica del teatro e intraprende un proprio  percorso di ricerca artistica e di sperimentazione, che lo porta a diventare a sua volta autore, oltre che interprete e regista di se stesso. Alterna l'attività teatrale e autoriale con quella di interprete cinematografico, che inizia con l'Edipo Re di Pier Paolo Pasolini. Seguoni, negli anni successivi, i lungometraggi Nostra Signora dei Turchi (tratto dall'omonimo romanzo pubblicato un anno prima, la cui trasposizione cinematografica gli vale nel 1966 il premio speciale della giuria della Mostra del Cinema di Venezia), Capricci, Don Giovanni, Salome e infine Un Amleto in meno, che ne 1973 segna la naturale conclusione della sua esperienza sul grande schermo. Nonostante questa parentesi, non si distacca mai dal teatro, continuando le sue sperimentazioni come autore, attore, regista e interprete, fino a sconfinare persino nella musica sinfonica. La sua morte, che avviene il 16 marzo 2002, è uno shock per la cultura e la società italiana e una perdita violentissima per il teatro mondiale.