Fabiana Cacciapuoti e l'attualità di Giacomo Leopardi

Lo Zibaldone come primo vero ipertesto

L’immenso manoscritto dello Zibaldone di Giacomo Leopardi – custodito presso la Sezione manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli – è costituito da un insieme di fogli singoli che Leopardi teneva in una cassetta: una cassetta che lo seguiva in ogni suo spostamento e che probabilmente arrivò a contenere, nel suo punto culminante, 4526 pagine di testi in fogli separati e numerati progressivamente, un lemmario di 555 schedine, 38 schedine (le polizzine «richiamate»), 3 indici e 7 schede di formato più grande (le polizzine cosiddette «non richiamate»), ciascuna delle quali dedicata a un percorso tematico.

Fabiana Cacciapuoti, specializzata nel settore della conservazione presso la sezione Manoscritti e Rari della Biblioteca nazionale di Napoli, ha lungamente studiato quel testo e curato per Donzelli i 6 volumi dell'edizione tematica del 2003; è inolte Presidente del “Centro Mondiale della Poesia Giacomo Leopardi” di Recanati.

Quando si guardi all’insieme di queste carte scritte nel corso di un quindicennio, - spiega a Rai Letteratura - non si può non riconoscere l’intenzione del loro autore di considerare quei fogli come un universo suscettibile di diversi possibili scandagli e di differenti possibili sequenze, come una sorta di macchina pensata in funzione di una sua componibilità.

Un ipertesto, appunto. Chissà cosa sarebbe riuscito a realizzare Leopardi se avesse avuto a disposizione un computer.

Giacomo Leopardi è stato uno dei più grandi poeti e scrittori della letteratura di tutti i tempi e uno dei principali esponenti del romanticismo letterario. Nato a Recanati il 29 giugno 1798, Giacomo Leopardi ha spesso tratto ispirazione dal “natio borgo selvaggio” in cui sono stati scritti, fra il 1819 ed il 1821, i Piccoli idilli, che denotano una profonda maturità stilistica ed una notevole ricchezza di temi; L’Infinito, che appartiene a questo gruppo di liriche, ne è un esempio. Negli Idilli emergono già i temi che accompagneranno Leopardi per tutta la vita, attraversando l’intera produzione poetica: il contrasto fra felicità e infelicità, le promesse vane della Natura, l’amore percepito come miraggio, e soprattutto il grande tema del dolore. La salute cagionevole infatti, e una progressiva malattia agli occhi, contribuiscono a una visione cupa e a volte crudele della condizione umana. Come emerge dall’evolversi del suo pensiero, raccolto nelle pagine dello Zibaldone e nella sua opera poetica, come nei Canti e nelle Operette morali, in cui il dolore è cifra costante di ogni esistenza umana, che assurge a verità universale. L’estensione del pessimismo a ogni essere vivente coincide per Leopardi con la raggiunta consapevolezza che il male e il dolore non sono un portato della storia e dell’ineludibile conflitto tra ragione e natura, ma discendono dalla natura stessa, che non è più madre benigna e consolatrice, bensì matrigna crudele che si nutre dell’infelicità dell’uomo per sopravvivere. Giacomo Leopardi muore a Napoli il 14 giugno 1837.