Franco Basaglia: la Trieste di Italo Svevo

Zeno Cosini e la borghesia in disfacimento

Rai Letteratura propone un'intervista allo psichiatra e scrittore Franco Basaglia, che parla della situazione in cui versa la città di Trieste relativamente al malessere sociale e psichico. Alla fine della prima guerra mondiale Trieste era una città difficile, provata, in cui la borghesia aveva ormai perso il suo potere dopo il periodo d'oro dell'impero asburgico. Italo Svevo, attraverso il personaggio di Zeno Cosini, rappresenta il fantasma di questa borghesia in disfacimento, proprio nel periodo in cui a Vienna anche Freud ne smascherava le debolezze. La coscienza di Zeno è la parabola della borghesia che non sa decidere, che non prende posizione: rappresenta la fine di un’epoca. Il video fornisce alcuni dati statistici: Trieste aveva a quel tempo percentuali altissime di malati di tubercolosi, di suicidi, di persone con disturbi mentali. Basaglia commenta questi dati, affermando che la tubercolosi era una malattia tipica della borghesia, mentre il suicidio non va assimilato alle malattie mentali, ma si lega a problematiche presenti nella cultura austriaca e nei paesi nordici. Al discorso dello psichiatra, si alternano spezzoni dello sceneggiato La coscienza di Zeno (1966) di Daniele D’Anza, interpretato da Alberto Lionello. Zeno, nel passaggio finale del romanzo, esprime la profezia di una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni, attraverso cui l’umanità finalmente guarirà dai germi e dalle malattie di cui si nutre. Basaglia conferma la paura di Svevo per la malattia, come problema di controllo sociale da parte della borghesia: c’è bisogno della morte per avere la vita.

Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

Franco Basaglia nasce a  Venezia l'11 marzo 1924 e vi trascorre l'infanzia. Dopo la maturità classica si iscrive alla facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università di Padova. Consegue la laurea nel 1949 e si specializza nel 1953 in Malattie nervose e mentali. Sposa Franca Ongaro, sua collaboratrice e coautrice di opere sulla psichiatria. Nel 1958 è assistente presso la Clinica di malattie nervose e mentali l'Università di Padova dove ottiene la libera docenza in Psichiatria. Nel 1961 rinuncia alla carriera universitaria e si trasferisce a Gorizia dove assume l'incarico di direttore dell'Ospedale Psichiatrico. Crea una comunità terapeutica dove i pazienti possono tornare a essere uomini. Nel 1968 Basaglia viene incriminato perché un paziente da lui dimesso commette un omicidio. Dopo l’assoluzione lascia l'Ospedale Psichiatrico di Gorizia e due anni più tardi diviene direttore del manicomio San Giovanni di Trieste. Qui nascono laboratori di pittura e di teatro, i pazienti svolgono lavori riconosciuti e retribuiti. I colleghi psichiatri che si riconoscono nel pensiero di Basaglia danno vita al movimento Psichiatria Democratica. Il 13 maggio 1978 viene promulgata in Parlamento la legge di riforma psichiatrica, L. n.180/78. Nel 1979 Basaglia lascia la direzione dell’Ospedale di Trieste e assume l'incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio. Fra le sue opere: L'istituzione negata (1968); Morire di classe (1969); La maggioranza deviante (1971); Crimini di pace (1975); e i due volumi di Scritti (1981-82), tutte redatte o curate insieme con Franca Ongaro Basaglia.

Italo Svevo (Trieste 1861 - Motta di Livenza 1928), il cui vero nome era Aaron Ettore Schmitz, nel 1880 entra come impiegato nella filiale triestina di una banca viennese e da questa esperienza di lavoro trae ispirazione per il suo primo romanzo Una vita, del 1892, ignorato dalla critica del tempo. Non diversa sorte tocca al secondo romanzo Senilità del 1898, anch’esso autobiografico, ed in seguito alla delusione, l’autore decide di abbandonare la letteratura, per dedicarsi all’attività commerciale. Solo dopo la fine della guerra, nel 1919, inizia a scrivere La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923, che finalmente ha successo.