I promessi sposi in tv: Don Rodrigo tradito

Dallo sceneggiato Rai di Salvatore Nocita

Dall'archivio della Rai, un video ispirato a un brano molto famoso de I promessi sposi. Si tratta del capitolo XXXIII del romanzo di Alessandro Manzoni, che presenta il tradimento di Don Rodrigo, malato di peste, da parte del Griso. Questi, invece di chiamare il medico, consegna il suo padrone ai monatti. Dallo sceneggiato di Salvatore Nocita prodotto dalla Rai nel 1989, che reinterpreta il romanzo avvalendosi di un cast d’eccezione, di cui fanno parte, tra gli altri, Alberto Sordi, Burt Lancaster, Franco Nero e Dario Fo.

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutte a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. 


Alessandro Manzoni (Milano, 1785-1873), romanziere, scrittore e drammaturgo, deve buona parte alla sua fama a I promessi sposi, considerato vero e proprio caposaldo della nostra letteratura. L'importanza dell'opera (così come della sua prima stesura, Fermo e Lucia, del 1827, considerata ormai un lavoro a sé stante) fa sì che la figura di Manzoni sia familiare persino ai giovanissimi: impossibile trovare chi, fra i banchi di scuola, non abbia sfogliato le pagine manzoniane dedicate all'amore travagliato di Renzo e Lucia, ma anche al contesto storico e sociale del tempo. Proprio questo aspetto rende il romanzo così tanto importante anche sotto il profilo storico e sociale. Manzoni voleva scrivere le sue opere in una lingua comprensibile a tutti, ma agli inizi del XIX secolo, la lingua degli scrittori e la lingua della gente comune erano molto lontane: gli scrittori scrivevano nell’italiano letterario, la gente comune parlava in dialetto, e in Italia anche all’epoca esistevano centinaia di dialetti. Nel 1823 Manzoni ha scritto una prima volta il suo romanzo più celebre, ma lo ha scritto nel fiorentino antico di Dante, Petrarca e Boccaccio: una lingua bella, ma morta, che nessuno usava per parlare. Manzoni aveva a disposizione anche una lingua viva: il suo dialetto milanese, ma fuori di Milano e della Lombardia nessuno capiva il milanese. Ecco allora la sua idea: riscrivere il suo romanzo in fiorentino sì, ma nel fiorentino parlato ai suoi tempi, dunque in una lingua viva, non morta. Per fare questo, Manzoni è andato a Firenze, ha studiato il fiorentino parlato e ha riscritto il suo romanzo nella lingua parlata a Firenze dalle persone colte, una lingua molto simile all’italiano di oggi. Tra le altre opere di Alessandro Manzoni ricordiamo gli Inni sacri (1815), Il Conte di Carmagnola (1820), l'Adelchi (1822) e Storia della colonna infame (1840).