Vladimir Majakovskij e il futurismo

Con contributi di Elio Pagliarani e Angelo Maria Ripellino

Quale urgenza spinse il giovane Majakovskij, nella Russia ancora zarista, ad abbandonare la Georgia natale per andare a Mosca? La natura l'annoiava, la città, con le sue folle e il suo dinamismo, lo affascinava, odiava la solitudine e credeva nell`uguaglianza. Sognava un futuro “chechoviano”, ma propugnava, da figlio del Novecento, la “rivolta degli oggetti”.

Io sono un impudente il cui supremo diletto è irrompere con la blusa gialla in un consesso di persone che nobilmente conservano sotto dignitose finanziere, marsine, giacche la modestia e il decoro

Con l'aiuto di un poeta, Elio Pagliarani, e di uno slavista, Angelo Maria Ripellino, viene ripercorsa la biografia del grande poeta e drammaturgo e, insieme ad essa, la nascita del futurismo russo, di cui Majakovskij fu il più convinto interprete, il suo rapporto con il futurismo italiano e la sua straordinaria fortuna, una vera egemonia culturale, nei primi anni della Rivoluzione russa. Il video mostra immagini di Majakovskij, della cella in cui fu rinchiuso e dello studio in cui si tolse la vita. Scorrono inoltre sequenze del film da lui interpretato La signorina e il teppista e filmati originali della rivoluzione sovietica, di comizi e dei funerali di Lenin.
Ciò che si racconta è il passaggio dall’allegria e dall’entusiasmo con cui artisti come Majakovskij, Chagall, Eizenstein, Meyerhold accolsero il grande sommovimento, che coniugava arte e utopia rivoluzionaria, al rapporto man mano più difficile delle avanguardie con l’involuzione burocratica dello stato sovietico. La fase più eroica della stagione rivoluzionaria si era chiusa definitivamente nel 1924, con la morte di Lenin. Insieme a Stalin si impose la restaurazione del naturalismo e gli spazi per Majakovskij si ridussero notevolmente. Egli fece oggetto della sua satira la figura del burocrate e quella del filisteo piccolo borghese, le stesse che ritroviamo nelle commedie La cimice (1928) e Il bagno (1929). Escludendo a priori ogni alternativa allo stato sovietico, a Majakovskij non rimase che un gesto estremo in cui – secondo Ripellino – convergono la fede nel socialismo e una fede mistica nella resurrezione.