Francesca Diotallevi, Dai tuoi occhi solamente
Un romanzo sulla grande Vivian Maier
Vivian Maier è stata una grande fotografa e ha avuto un’incredibile vicenda personale: nata a New York nel 1926, ha sempre lavorato come babysitter, e alla sua morte, nel 2009, ha lasciato armadi pieni di negativi con le foto che non ha cercato di far conoscere al mondo. È stato John Maloof, giovane figlio di un rigattiere a comprare all’asta il suo lascito, a scoprirne il valore e a impegnarsi per far conoscere l’opera di Vivian Maier (da vedere assolutamente il suo film Alla ricerca di Vivian Maier). Al mistero di Maier, Francesca Diotallevi dedica il romanzo Dai tuoi occhi solamente, pubblicato da Neri Pozza. Il libro si concentra su due anni di vita di Vivian, il 1954 e il 1955: l’autrice immagina che la sua protagonista prenda servizio dai Warren, una famiglia con due bambini e un altro in arrivo. Attraverso numerosi flashback, Diotallevi ricostruisce l’infanzia di Vivien al seguito di una madre rancorosa, che l’allontana da Jeanne, la fotografa che le ospita nei primi anni newyorchesi; la porta in Francia dalla nonna, dove non la sottrae subito alle molestie sessuali del compagno della prozia; la separa dal nonno; la riporta in America tentando di ristabilire un rapporto con l’altro figlio drogato e infine tronca ogni rapporto con lei. Vivian utilizza la fotografia come medicina per il male di vivere, non come mezzo per affermarsi, è una sorta di Bartleby melvilliano: Dai tuoi occhi solamente riesce a trasmettere il fascino del personaggio senza la pretesa di risolvere l'enigma dell'arte che sfugge alla consacrazione.
Francesca Diotallevi è nata a Milano nel 1985. È laureata in Scienze dei Beni Culturali. Tra le sue opere Le stanze buie, Amedeo, je t’aime e il racconto pubblicato in e-book Le Grand Diable, prequel di Dentro soffia il vento.Io non so vivere. Non sono capace di esserci fino in fondo, di esserci per davvero. Nelle vite degli altri, nelle loro gioie, nei dolori. C'è in me qualcosa di difettoso, di … mostruoso. un desiderio di rovina, di autodistruzione. C’è un dolore che preme per essere raccontato, sviscerato, scomposto. È questo che faccio. Racconto sempre la stessa sofferenza. La racconto a me stessa, come un bambino che si racconta favole chiuso dentro un armadio, perché ascoltare la propria voce, nel buio, è un modo di distrarsi dalla paura. È un conforto alla solitudine.