Andrea Tarabbia, Madrigale senza suono

Vincitore 57° edizione Campiello

Andrea Tarabbia, con il romanzo Madrigale senza suono (Bollati Boringhieri), vince la 57° edizione del Premio Campiello, concorso di narrativa italiana contemporanea organizzato dalla Fondazione Il Campiello – Confindustria Veneto. Il libro vincitore, annunciato sul palco del teatro La Fenice di Venezia, ha ottenuto 73 voti sui 277 inviati dalla Giuria dei Trecento Lettori Anonimi.

Andrea Tarabbia ama le storie maledette, quelle in cui la crudeltà estrema si accompagna a un profondo dolore, non per giustificare il male ma per comprendere cosa c’è dietro. Non poteva non colpirlo la vicenda umana e artistica di Carlo Gesualdo, principe di Venosa, autore di sei potenti libri di madrigali, reo confesso della mattanza dell’amata moglie e del suo amante. Al centro di Madrigale senza suono, il suo romanzo pubblicato da Bollati Boringhieri, c’è l’artificio del manoscritto ritrovato. Tarabbia immagina che a Igor’ Stravinskij, che nel  1960, ricompone tre madrigali gesualdiani intitolandoli Monumentum pro Gesualdo, sia stato consegnato una Cronaca della vita di Carlo Gesualdo scritta da un certo Gioachino Ardytti. Il libro di Tarabbia è la Cronaca arricchita dei commenti di Stravinskij che si specchia nei tormenti artistici del musicista di fine Cinquecento.  Il Carlo Gesualdo raccontato da Giochino, suo fedelissimo servo storpio (da bambino lo hanno tenuto in una scatola ed è cresciuto poco e male), è un uomo strappato dalla carriera religiosa a causa della morte del fratello, fatto sposare alla cugina Maria D’Avalos di cui era innamorato fin da piccolo e poi costretto a ucciderla per vendicare l’onta del suo tradimento. Gioachino-Tarabbia si sofferma sulla profonda attrazione erotica che legava i due coniugi e sulla disperazione di Carlo che ha compiuto il gesto che tutta Napoli si aspettava da lui. Dopo l’omicidio di Maria e di Fabrizio Carafa, sarà la musica a convogliare i tormenti del principe che deve fronteggiare l’ostilità del figlio Emanuele, la freddezza della seconda moglie, Eleonora d’Este, la relazione con la dama di compagnia di questa, Aurelia che per lui è una specie di fantasma di Maria e infine la morte dei due figli. Mescolando leggenda e realtà, calandosi nella cupissima atmosfera della fine del Cinquecento in cui impazzavano credenze magiche e superstizioni, Tarabbia costruisce il potente ritratto di un artista che voleva che in lui si esaurisse “tutta la musica possibile”.     

Così ha provato a essere la musica mia, Gioachino: armonica e dissonante, e cupa, e festevole, e malinconica, e sacra. Ma tutti questi svolazzi, amico mio, oggi non mi sembrano che ornamenti, ghirlande appese in un giorno di festa e poi dimenticate. È una musica colpevole, Gioachino: pensa ad altri mondi, ma sa soltanto ornare questo.

Andrea Tarabbia, nato a Saronno nel 1978, russista di formazione, è docente di letteratura comparata presso l’Università di Bergamo. Ha pubblicato i romanzi La calligrafia come arte della guerra (Transeuropa, 2010), Marialuce (Zona, 2011) e Il demone a Beslan (Mondadori, 2011), il saggio Indagine sulle forme possibili (Aracne, 2010), l’e-book La patria non esiste (Il Saggiatore, 2011) e Madrigale senza suono (Bollati Boringhieri 2019). Oltre a scrivere sulla rivista Il primo amore, pubblica articoli per Liberazione, Gli altri, Nazione indiana. 

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