Laura Laurenzi, La madre americana
Tra memoria familiare e memoria storica
Un memoir appassionato e appassionante quello scritto da Laura Laurenzi: La madre americana (Solferino) oltre ad offrire l’immagine di una magnifica coppia di genitori, restituisce l’atmosfera che si viveva a Roma negli anni sessanta. Elma, la madre dell’autrice, è nata e cresciuta in America, si è laureata alla Columbia University; è venuta a Roma per dirigere il Foster Parents Plan, che 1947 al 1967 aiuta bambini italiani in difficoltà attraverso adozioni a distanza e sostegni vari. Conosce Carlo, giornalista toscano del Corriere della Sera, lo sposa, ha due figli, Martino e Laura. In casa loro si respira un’aria colta e cosmopolita: la madre invita ai suoi cocktail americani generosi (una sera i due bambini si divertono a sostituire i salatini con i biscotti del gatto, il cameriere serve gli ospiti e nessuno si accorge di nulla); il padre s’intrattiene a cena con Brancati, Cassola, Bassani, e persino Montale (che delude Laura con una dedica neutra sui suoi Ossi di seppia: la ragazzina immagina che la colpa di tanta indifferenza sia del vestito all’uncinetto che indossava quella sera). Laurenzi rievoca le due nonne, quella materna, nonna Cia, vulcanica produttrice di sentenze (ti devi emendare, stai composta, mi riposerò quando sarò morta, per comandare bisogna saper fare, si sa come si nasce non si sa come si muore) e scettica sin dall’inizio su Mussolini (che nel periodo in cui era socialista frequentava suo marito e veniva da loro a farsi prestare soldi) e quella paterna, la mite nonna Margherita, abbandonata a Portoferraio dal marito con tre figli da crescere. Le elementari e le medie dalle suore del Santa Elisabetta con una suor Fabrizia che le fa amare la letteratura e il liceo al Mameli mentre impazza il ’68 e si smette di studiare. A cinquant’anni, pochi mesi dopo la chiusura dell’ufficio in cui ha lavorato tutta la vita, la madre si ammala e dopo tre mesi muore. Una ferita così profonda che i suoi familiari fanno calare il silenzio su di lei. Ora il silenzio è finito: “dopo mezzo secolo, ho pensato che fosse giusto raccontare che donna è stata mia madre. Mettere in luce la sua forza d’animo, la sua fierezza, la sua umanità, il suo vigore gentile”.
Laura Laurenzi, scrive per la Repubblica. Tra i suoi libri: Liberi di amare (Rizzoli 2006), Il giorno più bello (Rizzoli 2008). Con Marta Marzotto ha scritto Smeraldi a colazione (Cairo 2016).Mia madre non era come le altre madri: era americana. Lavorava molto, era una donna solida e idealista, che credeva in quello che faceva. Non aveva niente in comune con le altre mamme. Non l’ho mai vista giocare a carte e neanche prendere il tè con le signore, non portava bracciali d’oro con tanti ciondoli e nemmeno i foulard firmati. E non l’ho mai vista neppure cucinare.