Wlodek Goldkorn, L'asino del Messia

Israele anni settanta: una giovinezza

Nel suo nuovo libro, L’asino del Messia (Feltrinelli) che porta avanti la storia cominciata con Il bambino nella neve, Wlodek Goldkorn rievoca il proprio arrivo con la famiglia in Israele nel 1968. I Goldkorn lasciavano la Polonia antisemita, animati (almeno il protagonista) dal sogno sionista. La realtà di questo piccolo paese popolato da superstiti della Shoah e da una giovane generazione aggressiva, decisa a lasciarsi alle spalle il traumatico passato, lo delude e lo ferisce. Non c’è spazio per un’opposizione all’inizio degli anni settanta in Israele, non si può criticare l’esercito e la sua brutalità nei confronti degli arabi, che sono visti come il nemico e dileggiati, oltre che oppressi. Innamorato della lingua ebraica e dei suoi autori, da Oz a Yehoshua a Grossman, oltre che delle sue poetesse, Goldkorn non può non notare l'ostracismo verso  lo yiddish, lingua prediletta di suo padre; gli idealizzati kibbutz si rivelano meno attraenti di quanto apparissero da lontano e anche Gerusalemme non gli pare all'altezza della sua fama. “I demoni dell’Europa centrale hanno contagiato i figli dei profughi”, afferma Goldkron, concludendo che al Male non c’è altra alternativa che la politica. L’esperienza israeliana si conclude e Goldkorn riprende la sua peregrinazione alla ricerca di un paese in cui vivere in pace.

Questo libro è il mio tentativo di riflettere sul sogno di trasformare il deserto, e quindi la trascendenza, in terra coltivata, in un giardino curato da chi pianta gli alberi, taglia l’erba ed elimina le piante inutili e parassite; è anche quello di narrare lo scarto tra l’immaginario, prigioniero dei boschi dell’Europa orientale con i loro elfi e fatine, con i forti profumi dopo la pioggia, e la terribile, asettica magnificenza del deserto (che sapeva percepire un esteta come Lawrence). Mi innamorai subito del deserto e non capivo perché gli israeliani volessero trasformarlo in un giardino.

Wlodek Goldkorn è stato per molti anni il responsabile culturale dell’Espresso. Ha lasciato la Polonia nel 1968. Vive a Firenze. Ha scritto numerosi saggi sull’ebraismo e sull’Europa centro-orientale. È coautore, con Rudi Assuntino, de Il guardiano. Marek Edelman racconta (1998, 2016); con Massimo Livi Bacci e Mauro Martini, di Civiltà dell’Europa Orientale e del Mediterraneo (2001). Ha scritto La scelta di Abramo. Identità ebraiche e postmodernità (2006) e Il bambino nella neve (2016) e L'asino del Messia (2019).