Gianni Celati e il teatro

Gianni Celati e il teatro

A cura di Massimo Marino

Gianni Celati e il teatro
Una raccolta di riflessioni sul teatro del grande Gianni Celati.

"Il teatro fa parte delle abitudini e nelle abitudini di solito ci si immerge con la naturalezza degli animali. Poi viene il giorno in cui si resta fulminati da qualcosa di un po’ diverso e tutto cambia. Per me è stato il Parlamento di Ruzante,che ho visto quand’ero molto giovane, recitato non so più da chi. Da allora Ruzante è stato per me il teatro. Specialmente il Parlamento e Bilora, perché sono due monologhi con un personaggio che fa da spalla al primo recitante per stimolarlo a rilanciarsi nella sua verbigerazione.

Io so che non darei via il Parlamento di Ruzante per tutto Goldoni e Alfieri e Pirandello e Ibsen messi assieme. Čechov invece no, me lo terrei stretto… Non c’è lingua teatrale più stilizzata di quella di Ruzante. Se uno la impara a memoria sente che tutti i passaggi sono scivolamenti per scatti sonori, ritmici, timbrici, nell’andamento stilizzato degli umori. Non è un dialogo, ma una verbigerazione, uno sfogo di umori con un sistema ritmico percussivo straordinariamente accentuato. Ad esempio: «Cancaro ai campi e la guera e ai soldé, e ai soldé e la guera».


"Quello che si ascolta nei nostri teatri è di solito uno standard di effetti professionali, dove la tonalità delle battute diventa più o meno sempre la stessa, qualunque cosa si reciti. E raramente si sentono tonalità meno esteriori, meno di maniera…

Io vorrei solo aprire dei buchi e crepacci nello spazio della rappresentazione, in modo che non sia un comodo specchio per chi guarda. Altrimenti il teatro diventa solo un’immagine che tu valuti dal di fuori, facendo perno su te stesso, sulle tue presupposizioni a cui ti tieni ben attaccato, chiuso dentro il tuo guscio…


"Mi figuro un teatro che può fare a meno della materialità della messinscena perché lavora sull’immaginazione e sui voli della mente. Mi figuro un teatro che possa essere il luogo in cui si sciolgono certi irrigidimenti del corpo attraverso l’ascolto delle parole. E infine mi figuro un teatro non focalizzato sull’azione ma su una percezione dell’invisibile, ossia l’ombra e lo spazio che è dietro le cose…

Il teatro funziona bene quando non c’è un soggetto, non c’è fissazione soggettiva, mentre invece si vede o si sente bene qualcosa che ci avvolge sempre… Tu guardi un attore che recita Amleto, ma non è né l’attore né Amleto che conta. Conta l’ombra che c’è dietro quella presenza. Come nel teatro Nô, dove il personaggio centrale si rivela quasi sempre un’ombra o il fantasma d’un eroe morto. L’incantamento è il viaggio tuo e dell’attore verso quel luogo d’ombra che vedi apparire, là fuori di te e dentro di te al tempo stesso"


Gianni Celati (Sondrio, 10 gennaio 1937 – Brighton, 3 gennaio 2022) è stato traduttore e saggista (Finzioni occidentali. Fabulazione, comicità e scrittura, 1975), e ha insegnato letteratura angloamericana all'università di Bologna. Dopo una prima fase sperimentale (Comiche, 1971; Le avventure di Guizzardi, 1973; La banda dei sospiri, 1976; Lunario del paradiso, 1978; gli ultimi tre riuniti in Parlamenti buffi, 1989), si rivolge a una narrativa più distesa (Narratori delle pianure, 1985; Quattro novelle sulle apparenze, 1987; Verso la foce, 1989; Lunario del paradiso, 1996; La banda dei sospiri. Romanzo d'infanzia, 1998; Fata Morgana, 2005). Nel 1998 la New York University gli ha assegnato lo Zerilli-Marimò Prize for Italian Fiction. Tra le sue ultime opere: Vite di pascolanti. Tre racconti (2007); Costumi degli italiani (2008); Sonetti del Badalucco nell'Italia odierna (2010); Conversazioni del vento volatore (2011); Selve d'amore (2013). Nel 2016 è uscito il Meridiano Mondadori Romanzi, cronache e racconti, che ne ha raccolto quasi per intero la produzione narrativa.