L'interpretazione de I fiori del male di Baudelaire

L'interpretazione de I fiori del male di Baudelaire

Intervista al traduttore Antonio Prete

L'interpretazione de I fiori del male di Baudelaire
Passione, desiderio, paziente esercizio di vera comprensione. Atto d'amore per un altro - un testo - che spinge ad indagarne i meandri, a cercarne le potenzialità, a sottolinearne le affinità. Sforzo intellettuale di interpretazione, che rispetti l'alterità, ma allo stesso tempo mantenga un'identità propria. Così ci racconta l'atto del tradurre Antonio Prete. Uno che della frequentazione del testo - soprattutto quello poetico - si è nutrito per tutta una vita. Prete, infatti, che insegna Letterature comparate all’Università di Siena e dirige la rivista “Il gallo silvestre”, è autore di testi basilari per l'interpretazione di Giacomo Leopardi (Il pensiero poetante, Il demone dell'analogia, Finitudine e infinito), oltre che di saggi letterari di vari argomenti, e di un testo narrativo, Le imperfezioni della luna. Inoltre ha tradotto (lavoro che gli ha impiegato anni di gestazione) I Fiori del male di Charles Baudelaire. Una traduzione condotta sull'edizione critica, che potrebbe cambiare la percezione della poesia di Baudelaire. Un "azzardo", come lo definisce lo stesso traduttore nella prefazione, nel tentativo di "tenere insieme, nella nuova lingua, l'identità del testo originale e la propria identità".

Ci puoi spiegare la differenza tra tradurre un testo classico e un testo contemporaneo?
Il testo classico ha una sua distanza dal nostro tempo, che deve essere avvertita. L'eccesso di contemporaneizzazione rischia di addomesticare il testo, di portare a una sorta di appropriazione. Invece, la traduzione di un testo contemporaneo si pone in un contesto dialogico: in questo caso la lingua di chi traduce non ha bisogno di distanziamenti, che diano un senso di lontananza.

E la differenza tra tradurre poesia e prosa?
La poesia - soprattutto quella classica - implica una "provocazione" nei confronti della lingua del traduttore, perché è affidata a una forma chiusa. I poeti classici si affidano di più alla forma chiusa, mentre i contemporanei utilizzano la forma aperta, il verso libero. Il traduttore deve trovare una corrispondenza di ritmo e un'adesione alla lingua poetica dell'autore. Può anche scegliere di sciogliere la poesia in prosa. Un grande poeta, infatti, si può tradurre anche in prosa. Per esempio sia Baudelaire che Mallarmè hanno tradotto Poe in prosa. Ma in caso contrario, si tratta di rispondere alla poesia con la poesia. Mi viene in mente una frase del giovane Leopardi, traduttore del II libro dell'Eneide:

Non si può tradurre un poeta senza essere un vero poeta

Ci puoi fare qualche altro esempio di traduzioni esemplari?
Nel Novecento in Italia ci sono stati grandi traduttori. Penso a Ungaretti traduttore di Blake e della Fedra di Racine, a Montale traduttore dei sonetti di Shakespeare, alla traduzione di Caproni e a quella di Sereni di Renè Char, alla traduzione di Fortini del Faust di Goethe, a quella di Giorgio Vigolo di Holderlin, a quelle di Rilke di Traverso e Giaime Pintor Bertolucci, invece, aveva tradotto I fiori del male in prosa. Un'altra bella traduzione è quella di Moby Dick di Melville, fatta da Pavese. 

Si traduce meglio oggi, o si traduceva meglio in passato?
Oggi i traduttori sono più scrupolosi, ed è migliorata l'attenzione. Ma spesso alla poesia non viene dato il timbro del poeta originale. Molte traduzioni sono appropriazioni, cancellazioni interpretative, con le quali si riportano il poeta e l'autore dentro il proprio orizzonte. Spesso sono traduzioni fredde. Oneste e lineari, ma senz'anima.

Alcune traduzioni molto belle sono quelle dei poeti. Per chi scrive poesie la traduzione è un'esperienza di crescita importante. Ed è difficile mantenere un equilibrio tra lingua propria e altrui, tra l'identità personale e quella dell'altro.

Quali sono le teorie della traduzione più significative, secondo te?
Ci sono tante teorie della traduzione. Uno degli ultimi libri usciti in materia è quello di Umberto Eco, che si intitola proprio Sulla traduzione, nel quale l'autore sistematizza il processo e racconta le proprie esperienze. Ancora oggi sono molto importanti le riflessioni di Walter Benjamin contenute nel saggio Sul compito del traduttore. Benjamin porta nel Novecento le riflessioni del Romanticismo. Da Holderlin prende l'idea che la traduzione compie, adempie, verifica e dà vitalità all'originale. La seconda idea forte viene invece da Mallarmè, che sostiene che le lingue sono tutte imperfette, ombre di una lingua perfetta. Quindi si traduce da una lingua imperfetta ad un'altra sempre imperfetta. E dunque la questione è: come facciamo a far sentire questa lingua originaria?

Ci puoi raccontare qualcosa sul tuo lavoro sui Fiori del male? 
Ho cominciato la traduzione dei Fiori del male vent'anni fa. Sono andato avanti modificando il mio atteggiamento e le mie modalità. Per prima cosa, devo dichiarare che sono disposto a rivedere la mia traduzione, modificandola anche subito. Con questo voglio dire che ogni traduzione in realtà è solo una delle tante possibili e si inserisce in un orizzonte di precarietà. È un passaggio.

Traducendo Baudelaire, ho tentato di mantenere un equilibrio tra la proprietà, l'originalità, la singolarità della sua lingua poetica e la lingua poetica della tradizione italiana. Cioè ho voluto trasportare Baudelaire nella lingua poetica italiana dell'Otto-Novecento, senza sottrargli le proprie caratteristiche.

Prima fra tutte, la simultaneità di registri diversi: dal grido alla confidenza, dall'indignazione alla confessione, dal sublime al grottesco. E la solennità a voce spiegata della sua poesia, che viene dal teatro di Corneille e di Racine, e si vede anche nell'uso dell'alessandrino. Uno dei miei problemi era proprio: come rendere questa solennità in italiano senza farla diventare eccessiva? Dovevo far sentire questa solennità con una forma di attenuazione. Per cui ho attenuato le cesure. Ho deciso di usare due soluzioni metriche: l'endecasillabo in quelle poesie in cui si può sentire l'ombra di Petrarca, della tradizione del petrarchismo italiano; e il doppio alessandrino per rendere invece l'alessandrino narrativo. Tradurre Baudelaire significa non solo fare un esercizio di attraversamento, ma anche entrare nel suo universo poetico. Perché la miglior interpretazione di un autore è la traduzione.

Intervista di Wanda Marra