Sandro Veronesi e Caos calmo

Sandro Veronesi e Caos calmo

Intervista di Valerio Merola

Sandro Veronesi e Caos calmo
Dopo il successo di Venite venite B-52 (Feltrinelli 1995), La forza del passato (Bompiani 2000, premio Viareggio, premio Repaci e premio Campiello), Superalbo (Bompiani 2002) e No man’s land (Bompiani 2003), Sandro Veronesi torna in libreria con un nuovo romanzo. Caos calmo (Bompiani 2005) è la storia di Pietro Paladini, che si ritrova a salvare la vita in mare ad una sconosciuta, ignaro che nello stesso istante la sua futura moglie sta morendo davanti agli occhi della figlia di dieci anni. Il romanzo racconta, con uno stile elegante ed espressivo, che si serve di parole misurate, attente, precise ma mai eccessive, la crescita interiore del protagonista, ma anche la sua personale maniera di affrontare un dolore non violento, che rimane come in sottofondo. In primo piano si pone invece il rapporto tra Pietro e sua figlia Claudia. È per starle vicino che il protagonista si ritrova a passare le sue giornate in macchina, davanti alla scuola della bambina. Quello che inizialmente nasce come un tentativo di protezione diviene presto una coazione a ripetere, in cui Pietro sembra trovare la sua dimensione.

Intervista di Valeria Merola allo scrittore Sandro Veronesi sul romanzo Caos Calmo.

Al centro del suo romanzo sembrerebbe esserci un triangolo. Pietro, Lara e Claudia sono i tre poli di un campo di forze disuguali. La voce di Claudia è squillante e lucida, ma quasi in sottofondo. Quella di Lara è assente, ma viva nel ricordo, nelle canzoni dei Radiohead rimaste nello stereo o nella posta elettronica non letta. Si rivolge a lei il monologo interiore del protagonista Pietro?
Non lo so, non mi sono posto questo problema. Preferisco che rimanga una domanda: a chi ci rivolgiamo quando pensiamo? Dove va la nostra voce quando stiamo zitti?

Pietro affronta il dolore per la perdita della moglie e l’incapacità di soffrire per questo dolore, cercando di arginare le sue emozioni nella fissa ripetitività di uno schema. Passa le sue giornate davanti alla scuola della figlia Claudia, nel tentativo di proteggerla da un male più grande di lei. È questo il caos calmo? Lo «stallo che continua a salvar[e Pietro] dalla sofferenza»?

L’espressione “Caos calmo” è anch’essa una domanda, un’incognita. È una soluzione (e in questo caso, di quale problema?). O è un problema (e allora, qual è la soluzione?) Nel romanzo sembra essere entrambe le cose, prima l’una e poi l’altra, vale a dire nessuna delle due. Io preferisco pensarla come una di quelle espressioni infantili e senza senso, o meglio con un senso ipnotico, onomatopeico, che certe persone si portano dentro anche quando sono grandi. “Come “Alinghi” per Bertarelli, che era la parola senza significato con cui si baloccava da bambino, e poi, da adulto, è diventato il nome della barca con cui ha vinto la Coppa America.

La metodicità di un atteggiamento apparentemente folle e disperato diventa il punto fermo, la razionalità dentro cui il dolore trova sfogo. Ma non è il dolore di Pietro, bensì quello di chi gli si avvicina per compatirlo. La macchina in cui il protagonista passa le sue giornate diviene il luogo deputato per gli sfoghi, per le confessioni indicibili e per tutto ciò che stravolga il velo delle apparenze. In che modo il caos trova il suo ordine in questa metodicità?
Non trova nessun ordine, in realtà. In realtà quello che succede è impossibile. È l’atteggiamento insensato di Pietro a renderlo possibile, la sua uscita così brusca dalla ritualità del gruppo. L’esca che attira tutti i personaggi verso il proprio dolore è la domanda che in tutti loro è suscitata da Pietro fermo davanti alla scuola: “Ma questo qui, cosa sta facendo?”

Nel suo romanzo lei gioca con i piani temporali. Non soltanto il passato che penetra con il ricordo nel presente. Ma soprattutto i diversi aspetti del presente che si integrano l’uno nell’altro, per sperimentare le possibilità della simultaneità. Ne offre una prova l’incastro perfetto dell’incipit, che ritrae il protagonista intento a salvare la vita di una sconosciuta ignaro che in quello stesso istante sua moglie sta morendo nel giardino di casa davanti agli occhi della figlia. In che modo questo gioco temporale si ritrova nel gusto per la simmetria? Il desiderio di Pietro di dare un ordine al caos, di classificare, di fare elenchi risponde a questa fusione di sincronia e diacronia?
Ovviamente, esistono corrispondenze, analogie e simmetrie (alcune anche involontarie) tra le varie parti e i vari piani in cui è diviso il romanzo. Ma ciò che contraddistingue Pietro è l’opposto dello sforzo di dare ordine al caos: è l’abbandono all’improvvisazione, e l’improvvisa equivalenza di situazioni e atteggiamenti che normalmente sono rigidamente gerarchizzati, una specie di entropia della sensibilità. In fondo, sceso dalla tavola alla prima pagina, Pietro continua a surfare per tutto il romanzo sulla cresta di quest’onda di dolore che si forma e cresce sempre di più, fuori da lui.

Dalle parole di Claudia sembrerebbe invece che il tema di fondo del suo romanzo sia quello della reversibilità. Qual è il corrispettivo dei palindromi e della specularità nella vita reale dei suoi personaggi?
Non c’è. La vita non è palindroma, almeno finché la nostra percezione del tempo sarà così rigidamente aristotelica. Ma faccia la stessa domanda a un buddista e vedrà che la risposta è facile facile.

Come in altri suoi romanzi, anche in Caos calmo lei affronta il tema del rapporto tra padri e figli. Nonostante i suoi sforzi e la sensibilità con cui si avvicina alla figlia, Pietro non riesce ad entrare nel mondo di Claudia, rimanendone spettatore. È in questo divario incolmabile il punto di rottura dell’ordine apparente, il tragico dell’esistenza dei personaggi?
Non credo. Credo anzi sia una conquista, per Pietro, questa scoperta del limite che lo separa dalla figlia. E soprattutto, è una conquista per la figlia.

La sua scrittura è energica e pulsante, eppure composta e fluida, sempre in bilico tra comico e tragico. È un modo per giocare, anche con lo stile, sull’ossimoro del titolo?

Be’, giocare non era il mio intento, ma in un certo senso si può anche affermarlo. È ovvio che lo stile (che, secondo Nabokov, è tutto) non può essere fine a se stesso, indipendente dai concetti e dalle vicende che vengono narrate. I racconti di Carver non possono esser scritti con lo stile di Proust. In questo senso sì, l’ossimoro del titolo è un po’ il diapason che accorda gli strumenti del romanzo (anche se, come sempre, il titolo è venuto dopo che lo stile si era già formato,e dunque si dovrebbe parlare del contrario, cioè di un diapason che si accorda sugli strumenti).

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