Pietro Marchesani: tradurre Wislawa Szymborska

Pietro Marchesani: tradurre Wislawa Szymborska

Intervista di Stas' Gawronski

Pietro Marchesani: tradurre Wislawa Szymborska
Wislawa Szymborska è una scrittrice di culto in tutti i paesi occidentali per la sua opera che coniuga la semplicità di lingua con una straordinaria complessità di pensiero. Szymborska, era nata nel 1923 a Kornik, vicino a Poznan (Polonia). La sua fortuna all'estero cominciò nel 1960 con le prime traduzioni in Germania, Inghilterra, Russia, Svezia. In Italia Vanni Scheiwiller ha pubblicato due sue raccolte nel 1994 e nel 1996, anno in cui vince il premio Nobel per la Letteratura. Tra le sue opere, anche traduzioni in polacco di poeti francesi e saggi di critica letteraria.

Di seguito l'intervista di Stas' Gawronski al traduttore Pietro Marchesani, che ne delinea per grandi linee la poetica.

Come è avvenuto il suo incontro con la Szymborska?
Conoscevo la poesia della Szymborska da tanti anni, essendo io uno studioso di letteratura polacca e lei una delle figure piú importanti nella Polonia del dopoguerra. L’incontro con la persona è avvenuto di recente, soltanto quattro anni fa (mentre conoscevo molto bene di persona da molti anni Grudzinski, Milosz ed Herbert), a Cracovia, a casa sua, a cena, avevo lei seduta a sinistra e due posti piú in la c’era Milosz. 

La Szymoborska riesce con uno stile semplice e asciutto a sorprenderci con poesie che spaccano la superficie apparentemente banale della realtà, facendo intravedere improvvisamente il germe dell’infinito che si cela in ogni cosa creata. È cosí? 
Sícuramente è cosí, è una figura fuori dal comune, direi quasi straordinaria nella sua poesia. Riesce a fare ciò che altri non fanno. Sicuramente è dopo le ideologie, dopo i linguaggi generalizzati e aderisce alla realtà in una maniera straordinaria. La realtà presa nel suo particolare.

Nella sua poesia ogni parola è profondamente significativa in quello che dice e riesce a coniugare la semplicità con una straordinaria complessità di pensiero.

Io credo che il segreto della sua poesia e del suo successo in tutti i paesi occidentali, negli Stati Uniti, in Germania in Olanda, in Svezia, in Italia è diventata ormai una scrittrice di culto, è nel fatto di aderire straordinariamente alla realtà e di parlare un linguaggio della modernità, che poi vuol dire della complessità. 

La poetessa polacca impasta immagini concrete con una miscela di ironia che alleggerisce il testo di ogni pretesa proprio quando il centro dei suoi versi sembrano essere le grandi domande e il senso, indicibile per l’intelletto, dell’esistenza. Come giudica questo accostamento di grandi temi e di sorrisi?
L’ironia è una componente essenziale non solo della sua poesia, ma anche della sua personalità. È proprio quello che rende leggere le sue parole e che trasforma il pathos anche in un sorriso, ma sempre un sorriso intelligente.

Quali sono le principali difficoltà di traduzione che ha incontrato affrontando i testi della Szymborska?
La Szymborska dietro a questa semplicità nasconde una sapienza linguistica e letteraria straordinaria. Usa una lingua molto colloquiale che sembra apparentemente facile e semplice, e invece è il risultato di una costruzione estremamente complessa: fraseologismi, strutture sintattiche di un certo tipo, talvolta anche neologismi, uso di proverbi di cui, per esempio, riprende una parte o un elemento, o prende due proverbi e li mescola insieme, gli da' un nuovo senso, pur mantenendo entrambi i segmenti dell’insieme, un rimando ai significati originari e, quindi, si tratta di una poesia di una complessità estrema per il traduttore. 

È veramente difficile da tradurre, come tutta la poesia del resto. 

Quanto è importante nella Szymoborska la capacitá di meravigliarsi, di stupirsi, di guardare ogni giorno al mondo, come ha dichiarato nel discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel, come a qualcosa di stupefacente? Da dove nasce questa visione?
Considerando che si tratta di una persona che ha già compiuto ottant’anni, è incredibile. La Szymborska ha lo stesso stupore, la stessa meraviglia che hanno i bambini di tre o quattro anni, che, come diceva Emile Zola, grazie a questo stupore, riescono a vedere l’universo nella sua interezza. Questa è una componente assolutamente fondamentale della sua poesia. 

A volte nei testi della Szymborska traspare un po’ di malinconia che, come l’ombra di un chiaroscuro, sembra dare maggiore contrasto al suo sguardo verso il punto ultimo della storia dell’uomo. Da dove nasce questa malinconia?
Sicuramente dalle esperienze storiche. È una scrittrice che ha vissuto l’esperienza del totalitarismo nazista, di quello comunista, le perdite, le sofferenze, anche quelle che dà la vita, ma di fondo in lei c’è un’accettazione della vita, malgrado… C’è un verso bellissimo di una poesia che a me piace molto:

Acchiappo la vita per una foglia, si è fermata? se n’é accorta? Si è fermata almeno una volta.

La vita, come lei dice, è l’unica cosa che abbiamo e, quindi, la Szymborska riconosce alla vita un grande valore.